IL GIARDINO DEI SUONI GDS 01 – FOLK TRADIZIONALE/SALENTO, 2007
Uno dei fenomeni più rilevanti della demo-antropologia italiana è sicuramente costituito dal tarantismo, che aveva vasta diffusione in Italia meridionale nei secoli scorsi, e dopo una progressiva riduzione si è estinto in Puglia poco dopo la prima metà del secolo scorso. Alla fine degli anni ‘50 Ernesto de Martino poteva osservare alcune delle ultime manifestazioni del fenomeno, e con uno studio condotto assieme ad un’equipe multidisciplinare (e per questo rimasto anche un importante esempio metodologico) poté scrivere uno dei più rilevanti saggi dell’antropologia italiana, “La terra del rimorso”. Il personaggio più noto legato al tarantismo è sicuramente Luigi Stifani di Nardò (1914-2000), musicista terapeuta nonché esponente di quella categoria di musicisti-artigiani, importantissimi per la trasmissione della nostra tradizione musicale. Stifani introdusse ed accompagnò De Martino all’interno di quel mondo, altrimenti difficilmente permeabile da un intellettuale estraneo, che sarebbe stato oggetto del suo libro forse più noto. D’altro canto, lo stesso libro conferì notorietà anche a Mesciu Gigi che, a differenza di altri importanti e coevi musicisti terapeuti, mantenne ampie relazioni con il mondo degli studiosi accademici e non, e fino alla scomparsa, la sua semplice ma eloquente bottega di barbiere, è stata meta di un’inesauribile sequenza di amici, studiosi e curiosi. Tra gli studiosi più assidui c’era Ruggiero Inchingolo, allora studente al DAMS di Bologna, che dopo alcuni anni di studio sulla musica, sulla tecnica violinistica e sul contesto musicale di Mesciu Gigi, nonché attraverso un’esperienza di incontro umano tra musicisti, si laureò nel 1989 con la tesi “Biografia di un suonatore popolare: Luigi Stifani di Nardò”, avendo come relatore Roberto Leydi. Una buona parte degli studi di Inchingolo fu poi pubblicata nel libro “Luigi Stifani e la pizzica tarantata” (Besa, 2003), che rappresenta, nella gran quantità di scritti dedicati al personaggio, una delle poche trattazioni sul piano tecnico scientifico. Il necessario compendio all’analisi etnomusicologica di dette ricerche, è stato pubblicato la scorsa estate, nel disco che raccoglie i brani del repertorio terapeutico di Luigi Stifani, curato da Ruggero (“Rino”) Inchingolo, ora prestigioso musicista polistrumentista e direttore del festival di Andria “Suoni dal Mediterraneo”. Il disco raccoglie cinque brani registrati a Nardò, due dei quali nel 1966 da Roberto Leydi, e tre nel 1988 dallo stesso Inchingolo. Il repertorio dei musicisti terapeutici era notoriamente diversificato perché il fenomeno prevedeva che il mitico ragno (il cui morso provocava lo stato di malessere da cui si usciva mediante la terapia coreutico-musicale) potesse avere differenti personalità, ad immagine del mondo umano che rifletteva, e pertanto lo stimolo del ballo era offerto da un pool di brani, tra i quali era scelto il più efficace. Le musiche riportate nel disco rappresentano uno degli esempi più evoluti tra quelli impiegati storicamente nella terapia, perché coinvolgono un’orchestrina complessa che comprende il violino come strumento conduttore (a volte il mandolino), il tamburello come fondamentale ed immancabile base ritmica, e poi organetto, chitarra e canto. I brani portano la denominazione che Mesciu Gigi dava loro: “Pizzica indiavolata” in La maggiore o tarantella neretina, “Pizzica indiavolata” in Sol maggiore, “Pizzica sorda” in Sol maggiore (o “Tarantata sorda”, da usare nei casi particolarmente inerti), “Pizzica minore” generalmente in Re minore, “Pizzica in Re maggiore”. Nei brani si possono ascoltare alcune peculiarità, come la tecnica violinistica di Luigi Stifani che impiega note ribattute mediante il tremito dell’arco, la presenza della IV aumentata in alcuni brani, differenti tecniche ritmiche. I musicisti delle due formazioni musicali registrate, sono stati in buona parte assidui compagni del leader. Tra questi, è da rilevare la presenza di Antonio, fratello maggiore di Luigi Stifani, altrettanto abile musicista polistrumentista, e dal quale Luigi apprese i primi rudimenti musicali; Antonio non ebbe la notorietà del fratello anche per il carattere schivo e riservato. Il libretto di 28 pagine accluso al disco, dopo una presentazione dell’etnomusicologo Salvatore Villani, contiene informazioni sulle circostanze dello studio, gli strumenti e i musicisti, note esplicative per ogni brano, fotografie dei protagonisti, testi e traduzioni delle parti cantate, la parte iniziale delle trascrizioni dei brani, bibliografia, discografia e filmografia di base. Il disco quindi, oltre ad essere naturalmente associato agli studi pubblicati da Inchingolo, costituisce una fonte documentale importante per un repertorio musicale e demo-antropologico che mantiene attualmente notevole interesse ben al di fuori della sua area di origine.
Mario Gennari
Lascia un commento