di Felice Colussi
Musicalmente e liricamente, questo è l’album più diversificato che abbia mai fatto. Amore, morte, luce e oscurità. Vi farà ridere e vi farà piangere. Un concentrato di emozioni. – dichiara Jake Smith: questo è il nome di quest’omone grande e grosso, che assomiglia un po’ a Warren Haynes un po’ anche al grande Lebowski, che si nasconde dietro alla sigla The White Buffalo. A qualcuno non suonerà del tutto nuovo, perché può essersi imbattuto nella fortunata serie tv Sons Of Anarchy, la colonna sonora della quale portò all’attenzione internazionale il nome di The White Buffalo, con quella miscela di new-country e indie-sound.
Love and the death of damnation è il quarto disco pubblicato, differente dal precedente Shadows, Greys, and Evil Ways uscito nel 2013, un concept album decisamente ambizioso. Quest’ultimo è immediato, diretto, con un suono raffinato e potente, composto da una serie di canzoni che, pur vivendo tutte di vita propria, sembrano ancora una volta seguire un percorso narrativo ben preciso dove i personaggi protagonisti lottano contro il lato oscuro della vita, quel senso di gravità che che gravita intorno ai quartieri e alle strade, dove pochi arrivano a scorgere le luci della conoscenza. Questo buio copre gli avvenimenti d’ogni giorno, come in Dark Days e in Modern Times, nelle disperata ricerca di fede e redenzione, come in Where Is Your Saviour, nelle difficoltà e nei meandri dei complicati meccanismi delle relazioni umane, nei rapporti d’amore, come Go The Distance e in I Got You (quest’ultima cantata in coppia con Audra Mae), e poi ancora tra genitori e figli, tra gli uomini in perenne conflitto.
Matt Lynott alla batteria e Bruce Witkin al basso sono la consueta, pulsante e sicura sezione ritmica di questo progetto, sia nei brani più rockeggianti, come nelle eteree ballate pianistiche in Radio With No Sound, con le trombe mariachi che segnano spietati confini geografici delle terre del sud in Chico, fino al glorioso gospel magistralmente sorretto dall’hammond di Mike Thompson nella finale Come On Love, Come On In. C’è spazio per un traditional a stelle e strisce con Home Is In Your Arms per finire con Last Call To Heaven, dove giganteggia ancora le sua inconfondibile voce. Un gran bel disco!
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