di Gianni Giusti
Il vecchio Archie si mostra già dalla copertina per ciò che è: un uomo gentile, una britannica pacatezza, l’amore sconfinato per il mare, il senso del mistero e un alone di bellezza che aleggia e ammanta il mondo. A silent song è il suo settimo album come solista e terzo disco americano, per la Red House Records. Un disco, come sempre, essenziale per questo autentico musicista culto del folk revival e chitarrista acustico dal tocco elegantemente espressivo Archie Fisher, scozzese, classe 1939: non è notissimo nel resto dell’Europa, ma rappresenta una leggenda vivente in Scozia. E’ uno degli autori preferiti della stessa Fairport Convention, una formazione che si è spesso confrontata con le composizioni del nostro.
Questo disco arriva a sette anni di distanza dall’ultimo suo prodotto discografico ed è stato interamente registrato negli States. La sua voce e la sua sei corde sono contornate dagli interventi al flauto di Isaac Anderson, al violoncello di Luna Skye e al contrabbasso di Rob Norris e Joel Sayles. Grande scuola citaristica e aurorale inglese… come non ricordare John Renbourn, Bert Jansch e l’immenso Allan Taylor?
Con Allan Taylor, Fisher condivide la capacita di raccontare episodi di vita vissuta, il senso dell’amicizia, la profondità dei sentimenti. Rispetto a Taylor si espone con maggiore determinazione per l’ambiente e l’ecologismo. In questo disco troviamo alcune romantiche canzoni come A River Like You di Ian Davison, con i controcanti di Linda Richards, oppure Bonnie Annie Laurie di Alicia Scott. Non mancano brani tradizionali, da Mary Ann a Lord of The May. Infine i nuovi pezzi di Archie Fisher: uno splendido brano d’apertura, Waltz into Winter, che descrive la natura che lo circonda con una candore d’altri tempi Half The World Away, Song for a Friend. Il brano che ci ha colpito di più è forse The Parting Glass (Fisher/Goodenough), magicamente onirica.
Poetico e spirituale come sempre, Archie Fisher ci ha riportato nei verdi pascoli della migliore musica di Scozia. Grande disco.
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