di Francesco Aprile
Vittorino Curci, poeta, attento lettore dell’opera di Cesare Pavese, è anche sassofonista ormai di lungo corso, autore di musica improvvisata, free jazz, musica sperimentale, ha collaborato negli anni con numerosi musicisti italiani e stranieri, è parte del progetto-coordinamento internazionale Setola di Maiale – musiche non convenzionali. Nel 2006 pubblica, all’interno di una collaborazione fra l’Associazione Culturale Bosco delle Noci e Setola di Maiale, l’album solista Nei paesi novembre è un bel mese dell’anno. 18 improvvisazioni solitarie dedicate a Cesare Pavese. Il lavoro di Vittorino Curci comprende diciotto improvvisazioni, solitarie, come recita il sottotitolo dell’album, condotte dall’autore al sassofono e tutte ispirate dall’opera di Pavese; il titolo dell’album è infatti un verso tratto da L’estate di San Martino, quel particolare momento in cui novembre, dopo un primo periodo di freddo, tenderebbe a presentare giornate più miti, seguono, poi, diciotto brani intitolati con versi e passaggi tratti da poesie, lettere e opere in prosa sempre di Cesare Pavese e che sono (le opere da cui sono estrapolati i versi), in ordine, Fine della fantasia, Cattive compagnie, Il figlio della vedova, Lettera alla sorella Maria da Brancaleone, 9 agosto (1935), Notturno, Dialoghi con Leucò – Le Muse, La casa in collina, Ritratto d’autore, Una generazione, Antenati, Paesaggio III, Dialoghi con Leucò – Le Muse, Dialoghi con Leucò – I ciechi, Dialoghi con Leucò – L’isola, Gente che non capisce, L’uomo solo, Il Dio caprone, Dialoghi con Leucò – I due.
Free jazz? Musica sperimentale? Improvvisazioni? A quale categoria ricondurre questo lavoro di Vittorino Curci? Il punto di partenza del disco sembra essere, più che la tensione sperimentale dell’autore, l’esperienza poetica e letteraria di Cesare Pavese e attraverso questa occorrerebbe filtrare le diciotto improvvisazioni di Curci che recupera mirabilmente il dato mitico e sofferto, nichilista, del poeta piemontese inscrivendovi le improvvisazioni al sassofono. Da questo punto di vista il free jazz di partenza è da intendersi come una modalità di sperimentazione del popolare, laddove i sussulti dilanianti del sassofono costruiscono un tappeto sonoro capace di narrare il senso di indeterminatezza e l’orizzonte della crisi del popolare, dell’arcaico, lambendo la simbolizzazione mimetica di quei rituali antichi, ad esempio quelli della mietitura, ripresi e narrati scientificamente da Ernesto De Martino, dove l’atto del mietere era accompagnato dalla messa in scena ritualizzata dell’offesa mortale che gli uomini andavano recando alla natura. Il senso del vuoto per la morte della pianta, della natura, il quale si accompagnava sempre a quell’orizzonte della crisi dettato dalla precarietà e scarsità di risorse e incapacità di prevenzione e controllo degli accadimenti naturali, permea il suono di Curci che cade perfettamente inscritto all’interno di uno scenario Mediterraneo e/o rurale, dove la forza del contemporaneo è memoria ed evocazione di un lascito indecifrabile, di un tremore lontano, atavico, che si spalanca nel rapporto dell’uomo con la naturalità del mondo.
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