di Gianni Giusti
Ormai noto universalmente come l’ambasciatore di un tango popolare e colto, l’uomo della nuova frontiera, Melingo è venuto in Italia per alcuni concerti, cinque appuntamenti davvero degni di nota che hanno deliziato le platee di Roma, Bari,Torino, Siena e Trieste.
Melingo è uno che riparte da Gardel, dal tango cantato, quello di strada e da locali del porto, dei posti dov’è nato, ma anche un tango moderno, sporco e rabbioso, corporeo, che si porta addosso l’odore di vite vissute al margine della società del benessere, tra strade pericolose e soggetti poco raccomandabili.
Lo avevamo visto anni fa al Premio Tenco, intento a camminare in su e in giù per palco, ad abbracciare la gente, a divincolarsi, mentre i suoni del suo gruppo lo avvolgono con il bandoneon, la chitarra elettrica, il contrabbasso e il pianoforte a ricamare trame sonore ora oscure, ore improvvisamente brillanti, tra un tango e una milonga, una danza, un abbraccio, un bacio rubato.
Melingo gioca a fare la rock-star maledetta, recita, incanta, strabuzza gli occhi, piace… oh, se piace a un pubblico che viene inesorabilmente travolto dalla sua energia.
I brani presentati fanno parte del suo recente disco Anda, con un finale lasciato al brano che da il titolo all’album e con una baglama che appare improvvisamente nella mani del nostro.
Si passa poi a brani dei vari dischi precedenti, tra i quali riconosciamo, e apprezziamo, En un bondi color humo, Linyera e Volver a los diecisiete di Violeta Parra.
Molto bravi i musicisti, che non sono semplici accompagnatori del cantante: Lalo Zanelli al pianoforte, Romain Lecurier al contrabbasso, Facundo Torres al bandoneon e Muhammad Habbibi Guerra alla chitarra elettrica.
Vicini alla perfezione i cori, splendidi gli arrangiamenti.
Deliziosamente brutto, sporco e cattivo!
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