di Andrea Del Favero
Parlare di Elena Ledda non è semplice: si tratta di artista di grande spessore, ma soprattutto di una persona estremamente carismatica, caparbiamente e profondamente votata allo studio e allo sviluppo delle culture della propria terra. Una terra, la Sardegna, che dei caratteri di multietnicità ha fatto la propria forza nei secoli e personalmente me la fa sentire molto vicina.
Son passati sette anni dal precedente disco di Elena, sette anni nei quali le collaborazioni sonore si sono succedute con ritmo incalzante (basti citare, tra tutte, quella gemma splendente rappresentata da Bella Ciao!).
Per questo disco ha scelto di lavorare, come di consueto, con il gruppo di musicisti e amici, prima che collaboratori, con i quali divide il palco ormai da molti anni: Mauro Palmas al liuto cantabile, alla mandola e al mandolocello, Marcello Peghin alla chitarra classica dieci corde alla chitarra baritona e alla chitarra elettrica, Silvano Lobina al basso elettrico e agli arrangiamenti, i quali con Andrea Ruggeri alla batteria e alle percussioni e Simonetta Soro e alla voce. Tutti i testi in lingua sarda sono di Maria Gabriela Ledda, che ha fatto un lavoro davvero eccezionale.
Nora, il brano che apre il disco, è uno splendido ritratto di donna, una donna che ha voglia di divertirsi e di vivere, vede la gente con le bandiere, ha voglia di ballare.
Ninna Nanna in Re è un commovente e inusuale brano di Bianca D’Aponte, con una bella versione in sardo curata da Gabriela Ledda.
Tra gli ospiti spicca un ispirato Enzo Avitabile nella canzone De Arrùbiu, uno dei brani forti del disco: arrùbiu significa rosso: la musica è di Mauro Palmas, che è l’autore di buona parte delle musiche di questo disco, con il cuore e la testa al sangue e ai troppi morti innocenti degli ultimi anni.
Làntias, una sorta di preghiera ai santi patroni dell’isola, così come la finale Torrandi è una specie di preghiera e di riflessione sulle sorti del mondo e di come la nostra generazione lo stia portando al disastro. In Lantias, inoltre, va segnalata la preziosa presenza di Luigi Lai, con il quale Elena ha condiviso mille avventure sonore, ma non ancora presente su un suo disco. Che dire… Lugi Lai è un gigante della musica, quando senti il suono delle sue launeddas ti si allarga il cuore! Già la presenza di questa traccia basterebbe a suggerire l’acquisto di questo lavoro discografico.
Ma il disco prosegue e ci riserva ancora sorprese, ancora con Gabriela Ledda che, stavolta con Marcello Peghin, riflette sul mare e su cosa ci sia sotto in un’intenso Cantu Luxis.
Il successivo Beni racconta la storia di una donna che cerca la figlia scomparsa ed è ispirata al canto delle donne che lavoravano il torrone a Tonara, magistralmente giocato sulle voci di Elena e di Simonetta Soro e su un grande gioco di percussioni di Andrea Ruggeri.
Ojos azules è invece un brano tradizionale delle Ande, inserito forse un po’ a sorpresa, ma interpretato in forma molto personale, così come la Serenada del galiziano Antonio Placer.
Ses Andau, con la musica di Silvano Lobina parla d’amore e di guerra, con due giovani che rimangono vittime di un attentato.
Ca sa terra est tunda, la terra è tonda e non ne ha colpa, con un tempo dispari che ne fa una filastrocca zoppa, è una riflessione sul passaggio dell’uomo sulla terra.
Pochi e ben selezionati gli ospiti, oltre ai già citati Lai e Avitabile: un sempre stupefacente Gabriele Mirabassi al clarinetto, Gigi Biolcati alla kalimba e Gianluca Pischedda al violoncello.
Questo disco è un capolavoro, il miglior disco della carriera Elena Ledda, interpretato con maturità e passione, splendidamente coadiuvata da tutti i musicisti che ci hanno suonato e dal lavoro dietro le quinte di Michele Palmas, che non è soltanto il fonico che confezionato i suoni. Su tutto e tutti la voce di Elena che incana, ammalia e seduce.
Un disco che commuove e fa riflettere, mette il dito nelle piaghe del nostro vivere, ma lascia aperta una porta alla speranza.
Grazie, Elena!
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