LOOSE MUSIC VJCD 185, 2009
ROOTS, AMERICANA, COUNTRY-FOLK
“Don’t judge a book by the cover”, non giudicate un libro dalla sua copertina. Così recitano un antico proverbio e il titolo di una bella canzone del bluesman Willy Dixon. Ma giudicare questo cd, partendo dalla bellissima illustrazione che c’è sulla sua copertina ci fa indubbiamente partire con il piede giusto. Gli Handsome Family sono una bella famiglia, anche nella vita. La famiglia Sparks. Lui si chiama Brett, è originario del Texas, e canta e compone le musiche della band oltre a suonare chitarre e tastiere; lei invece si chiama Rennie, viene da Long Island, e scrive tutte le liriche del gruppo in cui canta e suona il basso. A loro, soprattutto per le incisioni, si uniscono diversi musicisti più o meno abituali. Il più assiduo è di certo il batterista Mike Werner che suona con i due sin dai loro esordi, a Chicago dove la coppia si è conosciuta, e dove risiede dall’ormai lontano1993. I loro primi dischi (ne hanno incisi otto prima di questo) erano intrisi di folk gotico e di atmosfere e storie dark, decadenti e tetre ma anche ammalianti e fascinose. Un mix sonoro e letterario che non ha mancato di stregare le platee di tutto il mondo e di ammaliare anche grandi critici musicali come Greil Marcus. Dietro quei lavori musicali c’era però il grande disagio emotivo di Brett, un disagio sfociato nella depressione, una malattia dell’anima che l’ ha visto spesso entrare ed uscire da ospedali e cliniche specializzate. Qualcosa che l’autore di queste righe conosce molto bene. Ora Brett sta meglio e il suo nuovo approccio alla vita, più positivo e solare, traspare anche dal nuovo disco della band. Intendiamoci, le atmosfere inquietanti a lui care ogni tanto fanno ancora capolino, ma, per dirla con le sue parole: “non ci sono più tre o quattro morti ammazzati ogni canzone come nel passato”. Difficile definire il genere che il duo suona. Prendete per esempio il primo brano “Linger, let me linger”. Ebbene appena avrete messo il cd nel lettore, verrete immediatamente catapultati negli anni cinquanta, in pieno periodo American Graffiti. Fate conto di ascoltare i Platters (da sempre dei miti per Brett) cantare una canzone i cui testi sembrano scritti da Nick Cave, Emily Dickinson e Walt Whitman, durante un loro soggiorno sui monti Appalachi. Magari bevendo una birra con Roy Orbison, un altro grande che ha di sicuro influenzato e parecchio l’eccellente canto di Brett. Il risultato è assolutamente destabilizzante ma bello, molto bello. Nella loro musica ci sono elementi country, bluegrass, soul, swing e parecchio folk che arriva direttamente dall’America rurale. Inutile soffermarsi troppo su ogni canzone perché ciascun brano del disco ha un proprio fascino particolare. A noi sono piaciute particolarmente, oltre al già citato strepitoso brano d’apertura, “My friend” ottima ballad country soul con un bell’hammond in primo piano; “When you whispered” un brano più tradizionale e folkeggiante in cui si fa notare l’efficace lavoro della slide e del banjo e che sembra uscita dal songbook di Julie e Buddy Miller (ed è un complimento, il primo); “A thousand diamond rings” che ricorda Gram Parsons periodo “Wild horses” (e anche questo è un complimento, il secondo); “The Petrified Forest”, ballad scarna e essenziale in perfetto stile roots; e“Wild wood” in cui la band torna al country più tradizionale con una registrazione casalinga e strampalata che non mancherà comunque, anche grazie alla splendida chitarra twangy, di arrivare al vostro cuore. Ben riusciti anche i due brani che chiudono il cd: “Darling, my Darling”, ottima country song con un organetto birichino e la voce di Brett a metà strada tra il Dave Alvin di “Public Domain” e il Leonard Cohen di “Hallelujah” (e anche questo è un complimento, l’ultimo); e “The winding corn maze”, efficace ballad in perfetto stile roots impreziosita da in’inaspettata ma piacevolissima chitarra spanish.
Fabrizio Poggi
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