di Tiziano Menduto
con la collaborazione di Anna De Biasio
Ci sono gruppi musicali, e non sono molti, che hanno acquistato nel tempo un significato e un’importanza in ambito musicale e culturale che va ben al di là del numero di dischi registrati e del numero di concerti fatti. Sono quei gruppi che si creano in un momento storico particolare, percependo una necessità che altri percepiscono ancora solo in parte, ma diventando poi la chiave di un percorso che decine di altri gruppi decideranno di seguire.
Si possono presentare proprio così i Café Charbons, un gruppo nato nei primi anni Ottanta attraverso l’incontro tra i musicisti Jean François Vrod (violino), Marc Anthony (ghironda) e Dominique Paris (cabrette, cornamusa utilizzata nella musica auvergnate). Affascinati dal mondo musicale e coreutico tradizionale giunto a Parigi con l’emigrazione dal Centro Francia, i tre musicisti si sono avvicinati al ricchissimo repertorio musicale della comunità parigina di emigranti dell’Auvergne e del Limousin (nel 1896 a Parigi si svolgevano più di duecento serate a ballo per gli Auvergnats de Paris) e hanno voluto ricordare l’importanza dei cafés charbons, quei locali parigini, gestiti dagli Auvergnat, in cui si poteva comprare carbone, legna, mangiare, bere un bicchiere di vino e, magari, ballare una bourrée. I risultati dell’interesse del gruppo per questo mondo culturale si è poi concretizzato in un unico, bellissimo, disco, divenuto subito imperdibile per tutti coloro che scoprivano la musica tradizionale francese e, in particolare, il ricco mondo culturale dell’Auvergne. Un solo disco (a parte una successiva registrazione che ha avuto minore diffusione), ma tanto è bastato per cambiare le storie di molti musicisti e di molti appassionati di danze tradizionali.
Ed è per questo motivo che ho deciso di sfruttare l’occasione di un recente concerto dei Café Charbons all’Arci Bellezza di Milano, per far loro qualche domanda. Domande che non vogliono solo raccontarne la storia, ma anche capire come si è sviluppata ed evoluta (o involuta), in questi ultimi quarant’anni, l’attenzione per la musica tradizionale in Francia. Domande che sono alla ricerca, infine, anche di informazioni sui tre componenti del gruppo – divenuti negli anni un punto di riferimento tecnico e musicale per molti altri musicisti – sui loro stili e sui nuovi progetti musicali.
F.B. : Cominciamo innanzitutto a raccontare la storia dei Café Charbons, un gruppo molto importante per la conoscenza e la riproposizione della musica tradizionale dell’Auvergne… Come è nato il gruppo? Con quali obiettivi? E perché si è fermato al primo disco?
Café Charbons: Il gruppo è nato nei primi anni Ottanta. I suoi tre componenti erano interessati alla musica del Massiccio Centrale fin dagli anni Settanta e si sono riuniti per proporre un’altra via rispetto allo standard fisarmonica a cabrette, che girava quasi sempre attorno allo stesso repertorio, quello di Martin Cayla.
Si trattava di proporre una musica più modale, esplorando dei repertori rimasti ai margini della pratica degli emigranti dell’Auvergne a Parigi, vale a dire il patrimonio musicale dei violinisti o il repertorio dei suonatori di cabrette più o meno marginalizzati come Pierre Ladonne, o addirittura rifacendosi alle registrazioni dei dischi a 78 giri. La mancanza di fisarmonica permetteva un approccio più modale, un ritorno a una pratica più antica, con i bordoni (i cabrettaïres provenienti dall’Auvergne non suonavano più con la chanterelle, che così restava muta). Se poi il gruppo non ha fatto un secondo album, è perché l’opportunità non è venuta fuori. Fare un disco, in quel momento, richiedeva uno sforzo finanziario significativo ed era meglio avere un editore. Il nostro, Auvidis, in seguito scomparve, ma abbiamo comunque registrato un secondo prodotto musicale, una cassetta dal titolo Les inédits de Café-Charbons.
F.B. : Il vostro lavoro musicale ha raccontato la massiccia emigrazione degli auvergnats nella capitale. Quando l’avete registrato, cosa è rimasto a Parigi di questa emigrazione e del repertorio di musica e danze che ha portato?
Café Charbons: Gli anni Ottanta sono stati l’ultimo decennio in cui l’ambiente Auvergne di Parigi era ancora saldo e molto attivo. Gli Auvergnats erano distribuiti in una moltitudine di associazioni, che riunivano le persone originarie di un comune o di un’area più estesa, tutti uniti sotto l’egida della Ligue Auvergnate. Ogni associazione organizzava il suo banchetto annuale con un ballo che includeva sempre una parte di danze tradizionali. Questi eventi erano così numerosi che tre ampie sale (tra cui Vianet, Delbore, etc.) erano occupate ogni sabato quasi esclusivamente con i banchetti delle associazioni. Qui si potevano incontrare ballerini di un livello eccellente.
Inoltre in continuità con l’organizzazione fortemente strutturata di musicisti sotto la guida di Martin Cayla, che distribuiva le orchestre auvergnats nei banchetti prima della seconda guerra mondiale, un certo numero di gruppi musicali gestiti da gente come Guy Letur o Christian Boissonnade si dividevano i balli nelle feste delle associazioni proponendo a volte lo stile musette a volte la musica tradizionale con cabrette e fisarmonica.
Questo spirito di comunità è frutto di un secolo di solidarietà tra la gente proveniente dal Massiccio Centrale, ed era ancora molto presente negli anni Ottanta: essendo riuscita a prendere il monopolio sui caffè di Parigi e sulla distribuzione all’ingrosso di bevande, così come sulla vendita al dettaglio di combustibili (legna, carbone e infine il carburante), la comunità auvergnat era in grado di trovare immediatamente un posto di lavoro per qualsiasi persona proveniente dal paese che andasse a lavorare a Parigi. Una ragazza che sposava un non-auvergnat avrebbe potuto a volte subire rimproveri o riprovazione…
Questo comunitarismo – nato originariamente dal desiderio di solidarietà tra gli esuli posti nei gradini più bassi della scala sociale e con poche opportunità di tornare a casa a causa della scarsità di possibilità finanziarie e dei prezzi alti dei mezzi di trasporto – comincia a diminuire negli anni Novanta. Con il sorgere dell’individualismo, non ci si riconosce più attraverso le proprie origini; ci si ritrova molto di più per affinità intellettuale. L’estrema facilità della mobilità non provoca più la nostalgia del paese d’origine, lo stesso paese natale da cui si è stati tagliati fuori un sacco di tempo. Il mondo dei caffè da quel momento è in forte calo: questi locali hanno chiuso a centinaia ogni anno; anche il giornale L’Auvergnat de Paris cessa di uscire, ormai tutta la comunità auvergnat di Parigi non è più che l’ombra di quello che era stata.
F.B. : Qual era la situazione del revival della musica tradizionale francese alla nascita del gruppo? Quali erano le principali difficoltà per un gruppo che voleva avvicinarsi alle tradizioni della musica e della danza tradizionali, in particolare dell’Auvergne?
Café Charbons: Negli anni Ottanta, il folk revival sviluppatasi molto fortemente durante gli anni Settanta era ancora fresco e vivo. Le persone non erano generalmente molto interessate al patrimonio musicale d’Auvergne e alla danza del Massiccio Centrale, perché gli auvergnats vivevano in qualche modo in un circuito chiuso, con pochi contatti con la scena folk di cui essi diffidavano. Inoltre non c’erano figure di punta o personalità eccezionali – come Alain Stivel per i Bretoni – che permettessero loro di farsi conoscere. Gli Auvergnats non cercavano di mescolarsi con altri ambienti. Nel movimento popolare del folk, si era più interessati allo stile del Berry-Bourbonnais o delle Landes della Guascogna (sud-ovest della Francia) oppure alla musica celtica (Bretagna, Irlanda).
Tuttavia, alcune persone avevano iniziato ad avvicinarsi al patrimonio del Massiccio Centrale facendo ricerche, ma senza contatto con gli Auvergnat di Parigi considerati troppo folcloristici.
Tra i pionieri del folk ad essere interessati al patrimonio auvergnat dal 1970 possiamo citare Bernard Blanc per la fabbricazione di cabrettes, André Ricros, Eric Montbel, Catherine Perrier, John Wright per la musica strumentale e canto, Jean-Pierre Champeval e Olivier Durif per il violino …
Non è stato facile per noi penetrare l’ambiente molto chiuso degli Auvergnats, ma alla fine siamo stati più o meno integrati, alcune persone erano entusiaste delle nostre proposte musicali, altre al contrario ci guardavano abbastanza con sospetto.
F. B. : Cabrette, ghironda e violino: quali sono stati all’inizio i vostri riferimenti musicali a livello di stile esecutivo?
Café Charbons: Abbiamo preso come ispirazione e come modelli sia i musicisti tradizionali ancora in pieno possesso della loro arte, sia le registrazioni dei vecchi dischi a 78 giri. Nel nostro stile musicale, noi abbiamo cercato di conservare lo spirito tradizionale.
F. B. : Dal primo disco che avete realizzato ad oggi sono passati quasi quarant’anni. Come è cambiata nel tempo l’attenzione dei francesi per le proprie tradizioni? Come è cambiato nel tempo il bal folk?
Café Charbons: A differenza di noi, che abbiamo avuto la possibilità di conoscere la musica e la danza del Massiccio Centrale ancora molto vive – sia sul posto, nel centro della Francia, o tra gli Auvergnats di Parigi – le nuove generazioni sono arrivate a interessarsene quando queste pratiche erano in completo declino nel loro ambiente naturale.
A eccezione dei luoghi che possiamo definire centri di apprendimento, come Les Brayauds che hanno voluto rimanere vicino alla tradizione e fare un grande lavoro di formazione e divulgazione, le pratiche musicali delle nuove generazioni sono cresciute in modo sempre più distante dalla tradizione.
Certi folkettari sostengono ad alta voce di non aver nulla a che fare con la tradizione e che bisogna inventare qualcos’altro. Questo ha portato al movimento neo-folk, dove la musica che viene presentata non appartiene veramente a uno stile, dove, a volte, diventa impossibile identificare ciò che si ascolta se i musicisti non annunciano prima quello che suoneranno..
F.B. : Come è cambiato oggi il mondo della musica tradizionale francese, e in particolare auvergnats? Le eventuali difficoltà per musicisti e appassionati di danza dipendono solo da un problema economico o anche da un problema politico e culturale? Quali sono a vostro parere le prospettive future del folk revival francese?
Café Charbons: Sulla base di quanto detto prima, sembra probabile che il neo-folk si svilupperà a spese della pratica dello stile tradizionale. Detto questo, è necessario sfumare il discorso a seconda delle regioni: la Bretagna sembra un po’ meno colpita e, in Auvergne, esistono isole di resistenza qua e là. Ma nel complesso, tutta l’eredità della musica e della danza della società rurale del periodo che va dal 19° secolo fino agli anni Ottanta dello scorso secolo, inevitabilmente declinerà di fronte alle grandi evoluzioni della società. Riguardo a quello che rimane della colonia auvergnate di Parigi, se l’associazione dei suonatori di cabrette rimane molto attiva, dall’altra parte i banchetti/le feste delle associazioni sono fortemente diminuite, così come i gruppi folcloristici sono in piena regressione. Le nuove generazioni hanno spostato il loro interesse su altre cose.
F.B. : Infine, quali sono i vostri progetti musicali attuali relativi alla musica tradizionale?
Dominique Paris: In realtà non c’è nessun progetto speciale legato alla musica tradizionale. Ora la mia attività musicale è al 95% relativa alla musica barocca francese e il restante 5% è costituito da proposte occasionali, come il ballo con i Café Charbons a Milano!
Jean François Vrod: Ad esempio continuare a suonare in concerti come La veillée rustique moderne (in cui si propone una versione contemporanea della veillée traditionnelle) o in trio con La Soustraction des fleurs (due violini insieme al suono dello zarb, uno strumento a percussione).
Marc Anthony: Il progetto è di continuare a suonare la ghironda in diverse occasioni, ad esempio nei concerti con gli Artho duo – l’incontro tra un parisien di Bretagna (ghironda) e une Lorraine di Bresse (voce, flauto e sassofono) – e in esperienze più puntuali. Anche per la danza e soprattutto negli atelier di danza e negli stage.
Per avere informazioni sui progetti musicali:
Betti Zambruno dice
Molto, molto interessante. W Folkbulletin!