THE ESOTERIC RECORD Co. ECLEC 2078
Questa rubrica è nata circa un anno fa con il preciso scopo di presentare dischi particolarmente significativi, destinati a lasciare un segno nel tempo anche oltre i valori strettamente musicali espressi. My land is your land, progetto-sogno realizzato di Ashley Hutchings e Ernesto De Pascale, possiede appieno le caratteristiche per trovare spazio in queste colonne, riassumendo in sé assunti e spunti di particolare significato. Intanto, due righe per descrivere i protagonisti. Ashley Hutchings non dovrebbe avere necessità di molte presentazioni su questa rivista, dato che la definizione di uno dei padri del folk rock britannico gli sta perfino un po’ stretta. Attuale bassista e anima dei Rainbow Chasers, ma già fondatore di Fairport Convention, poi di Steeleye Span e Albion Country Band, è persona dalle mille sfaccettature –umane e artistiche- capace di attraversare in musica quasi mezzo secolo di storia artistica e sociale. Ernesto De Pascale è una singolare e versatile figura di giornalista, produttore e musicista toscano, animatore del sito www.ilpopolodelblues.com, voce fra le più seguite di Rai-Stereonotte ma soprattutto grande amico di Hutchings, un’amicizia basata su alcune passioni comuni come l’enogastronomia di classe e sostanza, la Fiorentina (intesa come squadra di calcio dalle inconfondibili magliette viola) e naturalmente il folk-rock. La storia della musica è piena di progetti artistici basati su amicizie più o meno grandi, sodalizi assortiti e cameratismi più o meno occasionali. Fatte le debite eccezioni, e superata la fase emotiva, assai poche di queste produzioni si sono rivelate quei capisaldi che promettevano di essere proprio a causa della eccessiva interiorizzazione del progetto. In altre parole, i protagonisti di questi concept album frequentemente non sono stati in grado di rendere universalmente comprensibili le cause e gli effetti dell’iniziativa, che così alla prova del tempo si è rivelata piuttosto sterile e gratuita, poco emozionante per chi non l’abbia vissuta da protagonista. Non è certo il caso del disco di cui stiamo parlando, nel quale ogni sfumatura di emozione, ogni idea musicale di struttura e di espressione, ogni singolo dettaglio appare non solo curato nella sua sostanza ma immediatamente disponibile e fruibile da chi sia mentalmente predisposto ad accogliere il senso e il significato complessivo dell’opera. Detto in altre parole, sono l’anima e l’essenza del folk-rock che travalicano il lavoro di Hutchings e De Pascale e, senza nulla togliere ai meriti dei due amiconi e della fitta e numerosa schiera dei collaboratori e degli ospiti, prepotentemente si impongono all’attenzione dell’ascoltatore e lo coinvolgono in un’esperienza sensoriale che diviene così paradigmatica e rappresentativa forse anche al di là delle intenzioni dei protagonisti. E questo ci deve far riflettere sulla forza intrinseca del genere, di questo folk-rock che in mezzo secolo di storia è stato capace di diventare lingua universale, conquistando schiere di appassionati in ogni angolo del mondo, dalla Nuova Zelanda alla Scandinavia, dal Canada alle Isole Britanniche, dall’Italia al Giappone. La fusione fra l’energia del rock e l’immediatezza del folk è forse quanto di più magico il mondo delle contaminazioni in musica è stato capace di esprimere, è quella alchimia sottile (ma a volte anche volutamente più grossolana) che fa muovere irresistibilmente il piede per catturare il ritmo e stimola il cervello alla ricerca di un linguaggio comune che si esprime nella ora delicata ora forte compenetrazione fra testo e melodia, armonia e provocazione, libertà e rispetto delle regole.
Accennavamo prima agli altri comprimari, veramente d’eccezione, che compongono la truppa che ha realizzato questo gioiellino, e tenetevi forte! Si comincia con Ken Nicol (Albion Band, Steeleye Span), Marian Trapassi (ottima cantautrice palermitana, già Premio Ciampi), Graziano Romani (probabilmente il più “anglosassone” dei rockers italiani), P. J. Wright (Little Johnny England, The Dylan Project, Fairport Convention), Pete Zorn (Richard Thompson Band, Steve Tilston), Vin Garbutt (cantautore e polistrumentista più volte vincitore del BBC Radio 2 Folk Awards “Best Live Act” ), una sorprendente Jo Hamilton (immeritatamente semisconosciuta in Italia), Ruth Angell (Rainbow Chasers), Lester Simpson (Coope, Boyes and Simpson), Chris Leslie (Whippersnapper, Albion Band, Fairport Convention), Clive Bunker (Jethro Tull), Kellie While (figlia d’arte di una certa Chris, e il buon sangue non mente) e perfino il toscanissimo e geniale Riccardo Marasco, che chiude il disco con una serie di irridenti stornelli toscani, che all’insegna del tutto è bene quel che finisce bene, sigillano il disco.
Un impegno durato parecchi anni, una cura straordinaria negli arrangiamenti e nelle registrazioni, l’originalità delle fonti ispirative (enogastronomia, d’accordo, ma anche calcio d’annata, manco a dirlo l’epica sfida Inghilterra-Italia degli anni Trenta con le voci dei radiocronisti dell’epoca), fantasia e divertimento a briglia sciolta per un disco che quando finisce hai subito voglia di rimettere dall’inizio. Nell’era di Facebook, un modo alternativo per gli amici lontani di sentirsi vicini e comunicare la gioia del loro incontro al mondo intero. Un incontro, come quello fra folk e rock, che non ha ancora terminato di avere effetti positivi sul nostro modo di intendere la musica.
Se Ernesto De Pascale e Ashley Hutchings intendevano farci un bel regalo, ci sono proprio riusciti.
Roberto G. Sacchi
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