di Felice Colussi
Mujura è lo pseudonimo con il quale si presenta Stefano Simonetta, calabrese per molti anni a fianco a Eugenio Bennato.
Quello che mi interessa – afferma Mujura – è scrivere canzoni. Per una serie di ragioni anagrafiche e storiche, come la mia frequentazione di ambienti di musica etnica, il mio viaggio nella musica popolare calabrese e in quella del sud con Eugenio Bennato, ho usato nei miei lavori alcuni strumenti e ritmi che provengono dalla tradizione musicale popolare calabrese e la lingua calabrese (non in tutti i brani) che conosco e ho studiato negli anni. Non nasco nell’ambiente della musica popolare, ci sono arrivato seguendo un percorso trasversale e trasversalmente continuo a muovermi in questo mondo. Nel disco, infatti, come citazione di canzone popolare ho usato in modo spregiudicato un canto di malavita.
Afrodite, Cassiopea, Paride, Efesto, Perseo, Narciso, Achille, Orfeo ed Euridice: nomi di antichi dei e personaggi della mitologia greca, un ritorno di riti ancestrali e perdute leggende narrate con un contorno strumentale formato da una vasta messe di strumenti popolari del Sud Italia, dalla chitarra classica, alla mandola, alla chitarra battente, alla lira calabrese, e altri più classici: violini, viola, clavicembalo e contrabbasso.
Ho parlato della Calabria in questo disco – continua Mujura – non come rivendicazione geografica o per motivi campanilistici, ma perché è l’argomento che conosco meglio di altri e sentivo di dover restituire un mondo del quale si hanno notizie parziali, frastagliate e imprecise. Quello dell’abbandono, della deturpazione, della malavita, della lentezza, del familismo e dell’isolazionismo in un mondo veloce e globalizzato.
Buoni i suoni e la produzione. Davvero un bel disco.
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