di Felice Colussi
Un disco uscito in primavera, questo Murmure di Carlot’ta, al secolo Carlotta Sillano, che verrà presentato in inusuali e affascinanti cornici, che nelle intenzioni dovrebbero far risaltare le sonorità di un canzoniere folk-pop interamente costruito attorno alle sonorità dell’organo a canne.
Uno strumento antico e imponente che si associa normalmente al repertorio sacro e al contesto liturgico, sotto l’abile guida di Carlot-ta condurrà il pubblico in un viaggio che esplora in modo contemporaneo e drammatico le sue infinite possibilità sonore, alternando momenti intimi e malinconici a registri scanzonati e irriverenti, solenni e impetuosi. Tra ballate romantiche, valse musette, danze macabre e motivetti synth-pop, prende così vita un tour che non poteva svolgersi se non nelle chiese e negli auditorium. L’artista suonerà inevitabilmente uno strumento ogni volta diverso con le sue specifiche caratteristiche e peculiarità, dando vita a un concerto sempre irripetibile.
Ad accompagnarla tra i visual curati da Matteo Bellizi e Natsumi Corona, i fedeli compagni di sempre: Christopher Ghidoni (synth, voce e chitarra); e Paolo Pasqualin (percussioni).
L’album, prodotto da Incipit Records/Egea Music, contiene dieci canzoni originali in inglese e una in francese, con un uso della voce che vuole ricordare Björk e vuole essere, stando ai comunicati stampa di presentazione, un disco epico e trionfale, oscuro e immaginifico che esplora luoghi, suoni, emozioni, muovendosi con abilità tra riferimenti letterari e biblici.
E’ stato registrato tra Italia, Svezia e Danimarca ed è prodotto da Paul Evans, parte del team del Greenhouse Studio di Reykjavik che annovera tra le sue produzioni album di Björk, Sigur Ros, Damon Albarn, Cocorosie e molti altri.
Di Carlot-ta sappiamo che ha ventisette anni e trecentoconcerti all’attivo, ha pubblicato precedentemente due dischi, Songs of Mountain Stream (2014, con il quale ha vinto il premio SIAE alla Creatività) e Make me a Picture of the Sun (2011, che le è valso un secondo posto al Premio Tenco, il Premio Ciampi per la Migliore Opera Prima, e il Premio MEI Supersound per il miglior disco dell’anno).
L’organo a canne – racconta lei stessa – è inevitabilmente connesso a un luogo e un posto ben preciso. Per suonarlo devi necessariamente spostarti nel suo spazio, cosa che non succede con nessun altro strumento. Non lo puoi possedere. Ogni movimento attiva un meccanismo complicato, che fa entrare l’aria nelle canne e lo fa respirare. È come dare vita a un animale, enorme e grottesco. Ti fa sentire potente, e allo stesso tempo carico di un timore reverenziale.
E della musica?— che dire?
Sinceramente ci ricorda molto, ed è persino ovvio, Anna Von Hausswolff, che è già un’artista che non ci fa strappare i capelli.
Molte atmosfere, spesso ben giocate, bei suoni, ma il tutto si ferma a un’epidermica bravura che non trasforma le canzoni in epici inni, quali la maestosità degli strumenti messi in gioco potrebbe suggerire. Gradevole pop d’atmosfera, ma nulla più.
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