Sette interviste per raccontare la musica e la personalità di Giorgio Gaber attraverso la sua stessa voce, la testimonianza di quanti hanno avuto la fortuna e il privilegio di collaborare con lui e, ancora, attraverso la ricostruzione minuziosa della sua imponente discografia che, nel susseguirsi di date e commenti, si snoda come una rappresentazione in presa diretta della sua lunga carriera.
Nelle prime tre interviste è lo stesso Gaber a raccontare la sua formazione musicale e gli anni del rock’n’roll nella Milano di fine anni Cinquanta, la tecnica compositiva e strumentale di un eccellente virtuoso della chitarra quale è stato e la progressiva definizione del teatro-canzone. Uno spaccato di vita e di arte che si arricchisce di innumerevoli dettagli e aneddoti nelle successive interviste a Giorgio Casellato, capo-orchestra delle serate di Gaber negli Anni Sessanta e poi arrangiatore e responsabile musicale dei suoi spettacoli dal 1968 al 1976; a Maria Monti, compagna di vita e di scena con Gaber dal 1959 al 1962; a Gianni Martini, chitarrista del gruppo che lo ha accompagnato dal vivo a teatro dal 1991 al 2000, e a Gian Piero Alloisio, collaboratore di Gaber nella scrittura di testi di Teatro Canzone per altri artisti dal 1981 al 1993.
Un appassionante racconto che prosegue nella discografia commentata che si configura come uno strumento imprescindibile per lo studio di uno dei più importanti artisti e intellettuali italiani del Novecento.
La puntuale prefazione è di Antonio Silva.
E allora è bello, quando parla Gaber. Così cantava Enzo Jannacci in Se me lo dicevi prima. Ed in effetti ascoltare Gaber era davvero bello. Non solo a teatro, quando si andava a sentire cosa aveva di nuovo da dire, ma proprio di persona, per chi ha avuto il piacere e la fortuna di farlo. A me è successo in due occasioni, durante due interviste. Lui sempre gentilissimo, cordiale, disponibile, anche quando era sofferente. Curioso. Lucido. Ragionamenti pacati e appassionati allo stesso tempo. Con una visione delle cose molto chiara, anche nel dubbio. Alla fine di una delle interviste due amici che erano con me, uscendo dal camerino, erano senza parole. Non si aspettavano di restare così affascinati dalla sua persona. Nelle interviste, quando vengono pubblicate sui giornali, non c’è mai tutto quello che si dice mentre si parla. Ogni tanto c’erano delle divagazioni, considerazioni a latere che esulavano da quello di cui si stava parlando in quel momento. Erano belle anche quelle. Gaber aveva una capacità affabulatoria di grande impatto, condita sempre da quel sorriso ormai così familiare, a me che avevo cominciato a seguirlo sin dal 1973, con Far finta di essere sani. Erano interviste molto lunghe. Le riviste che le avevano commissionate, Chitarre e Il Mucchio Selvaggio, non avevano posto limiti di spazio. Quello che c’entrava, c’entrava. Trattandosi di due riviste musicali, una che seguiva più l’aspetto tecnico della musica, Chitarre, l’altra più legata all’attualità e alla cronaca musicale, Il Mucchio Selvaggio, era scontato che le domande vertessero proprio sulla musica e sulla tecnica musicale. Ma naturalmente veniva fuori tutto il resto, tutto quello che c’è intorno, dietro, davanti e di lato alla musica. E trattandosi di Gaber, c’era parecchia roba, come direbbe un protagonista dei suoi monologhi. Così ho pensato che forse poteva avere un senso ripubblicare quelle due interviste, nella loro forma integrale, in modo che si potesse seguire il filo logico della conversazione. Con l’aggiunta di una terza realizzata da Gianni Martini, il chitarrista del gruppo che lo ha accompagnato negli ultimi dieci anni del suo lavoro con il Teatro Canzone, e nella quale, come vedremo, ero comunque coinvolto a vario titolo. A queste ho voluto accompagnare altre quattro interviste, a quattro persone che mi sarebbe sempre piaciuto incontrare per parlare con loro di Gaber.
Giorgio Casellato è stato al suo fianco per trent’anni, come musicista, come arrangiatore, come amministratore della compagnia teatrale, e come tante altre cose ancora, dalle prime serate nelle balere lombarde ai grandi successi nei teatri di tutta Italia nel corso degli anni Settanta. Un testimone importante delle sue prime stagioni teatrali, quando sui palcoscenici italiani le canzoni ed i monologhi di Gaber e di Luporini seppero raccontare con straordinaria aderenza gli entusiasmi, i dubbi, i sentimenti e le passioni, pubbliche e private, di centinaia di migliaia di spettatori. Maria Monti ha condiviso con Gaber un’esperienza professionale e sentimentale tra il 1959 e il 1962, che li ha portati a intraprendere un percorso alternativo a quello tradizionale dei cantanti da intrattenimento, quali erano tutti e due quando facevano parte del gruppo dei Giullari insieme a Giorgio Casellato. La vena surreale e in alcuni casi neorealista dei testi di Maria Monti aprì a Gaber un mondo musicale del tutto nuovo, nel quale le canzoni potevano essere non soltanto piacevoli occasioni di spettacolo danzante ma anche, messe in fila una dopo l’altra, capaci di raccontare una storia e di essere portate in un teatro, dove il pubblico non viene per ballare ma per ascoltare, per riflettere ed anche per divertirsi. Gianni Martini, come abbiamo già detto, è stato il chitarrista del gruppo che ha accompagnato Gaber ininterrottamente dal 1991 al 2000, ma il suo coinvolgimento, anche professionale, con lui è molto antecedente e risale ai primi anni Ottanta. Il suo è un racconto dall’interno dell’officina musicale gaberiana, e per questo particolarmente interessante, che ci permette di cogliere ulteriori aspetti dell’immagine del Gabermusicista e uomo di spettacolo, attento come non mai alla dimensione musicale che i suoi spettacoli dovevano offrire al pubblico. Il racconto di Gian Piero Alloisio (che, come Gianni Martini, faceva parte del gruppo musicale Assemblea Musicale Teatrale) ci fa invece conoscere un aspetto poco conosciuto del Gaberdrammaturgo ed uomo di teatro, interessato a nuovi percorsi artistici nel momento in cui, conclusa la grande stagione del Teatro Canzone degli anni Settanta, sentì il bisogno di prendersi una pausa di riflessione che lo portò, nel corso degli anni Ottanta, a incuriosirsi e a impegnarsi direttamente nel percorso espressivo di altri artisti, partendo da sua moglie Ombretta Colli per arrivare a Claudio Lolli e ad Arturo Brachetti. Senza mai tuttavia abbandonare il suo repertorio, che in quello stesso periodo si arricchì di nuovi dischi e di nuovi spettacoli, prima del grande ritorno al Teatro Canzone degli anni Novanta.
Dopo le interviste segue la discografia di Gaber, insieme analitica e tecnica, nel senso che l’obiettivo, nel compilarla, era quello di preparare uno strumento che potesse fornire il maggior numero di informazioni possibili sui dischi, soprattutto quelli degli anni Sessanta, periodo sul quale spesso si sorvola considerandolo, a torto, soltanto un apprendistato di mestiere e non invece una vera e propria miniera di spunti che troveranno piena definizione in seguito con la parte successiva della carriera di Gaber.
Chiudono il volume una sezione di Appendici, con una bibliografia aggiornata, l’elenco delle canzoni scritte da Gaber per altri artisti e da lui mai interpretate, la discografia dei Giullari, il gruppo musicale nel quale rivestiva il ruolo di chitarrista, la partecipazione a incisioni discografiche di altri artisti e l’elenco delle cover che sono state realizzate delle sue canzoni.
Luciano Ceri, giornalista musicale, si occupa da tempo di storia della canzone italiana. Ha collaborato con numerose riviste di settore, condotto programmi radiofonici, pubblicato diversi volumi e curato non pochi progetti discografici.
È responsabile del progetto Discografia Nazionale della Canzone Italiana dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi.
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