In attesa dell’importante operazione che vedrà la luce a giugno, legata alle mitiche ricerche di Lomax e Carpitella nell’Italia degli anni Cinquanta, vi offriamo una riflessione sulla sua figura e sul suo operato nella Penisola.
di Francesco Aprile
Alan Lomax (1915-2002) etnomusicologo, figlio del folklorista John A. Lomax, dopo ricerche condotte sul campo setacciando, negli anni Trenta, la tradizione americana (Jelly Roll Morton, Muddy Waters, Woody Guthrie ecc.) negli anni Cinquanta giunge in Europa (Inghilterra, Spagna, Italia). Con Diego Carpitella, nel biennio 1954-55, percorre la penisola italiana, proprio a quel periodo (dal 12 al 17 agosto del ’54) risalgono le registrazioni dei canti popolari salentini. Importante caratteristica del lavoro di Lomax è quella concernente la documentazione fotografica alla quale ricorreva al fine di catturare il contesto storico-culturale, sociale, dei territori da lui affrontati a fini documentaristici, di ricerca. Il volume Alan Lomax in Salento, dato alle stampe da Kurumuny nel 2006, raccoglie la quasi totalità della documentazione fotografica realizzata dall’etnomusicologo americano nel 1954, pubblicando per la prima volta un corpus di immagini notevole che nell’ottica allargata dell’operazione di Lomax andava a connotare politicamente il lavoro di ricerca. Lo statuto politico dell’operazione è rilevato, all’interno del volume, dagli scritti di Luigi Chiriatti, Luisa Del Giudice, Goffredo Plastino e Sergio Torsello; proprio Torsello sottolineava come nell’opera di Lomax l’esperienza etnografica si trasformi quasi sempre in una pratica riflessiva e in un percorso politico ossia una dimensione etica colta in un costante intreccio di sensibilità democratica e impegno di ricerca. Al lavoro introduttivo della Del Giudice, invece, dopo un accurato excursus storico dedicato alle vicissitudini del Salento, va ricondotto l’aver tracciato quella linea sottile che nel lavoro di Lomax tiene insieme ricerca sulle tradizioni orali, immagine fotografica e ambiente. In un senso più ampio il lavoro di Luisa Del Giudice evidenzia che a parte la sua storia, è senza dubbio la natura che più ha plasmato la vita pugliese. Il Salento esplorato da Lomax, lungi dall’essere imparentato con l’esplosione economica del dopoguerra, è ancora una terra frastagliata da mille asperità, crudezze quotidiane tali da descrivere le attività giornaliere come votate alla fatica di un lavoro manuale lento e votato a strappare pezzi di mondo alla natura. In questo contesto, mutilato dalla marginalità e dalla povertà, le quali segnavano le difficoltà di crescita manifestate dal territorio, le fotografie dell’etnomusicologo americano permettono la messa in evidenza di una stagione culturale, umana, che nella continua compenetrazione natura-cultura trovava l’ossatura della sua esistenza.
Le fotografie degli spaccapietre che lentamente e con fatica sbriciolavano le pietre al fine di ottenere la breccia per le strade, sono elementi di una cadenza ritmica che prima ancora d’essere lavoro (il battere del martello) era condizione naturale che andava a punteggiare il territorio con le pietre, poi strappate, per mano umana, alla natura e ancora una volta nella terra reintrodotte in forma di muretti a secco, (ancora il ritmo della pietra a cadenzare la terra), ma anche suono, base ritmica per la voce che è incastro polifonico, come il canto polifonico dell’incastrarsi delle pietre sul territorio salentino. La giustapposizione fra natura e cultura diventava compenetrazione e lenta modificazione dello spazio, ma era una modificazione precaria, fatta sì da un operoso popolo di formiche (Tommaso Fiore), ma in balìa di un orizzonte della crisi che predisponeva i mezzi per una precaria esorcizzazione della natura. Il canto della fatica era il corrispettivo della fatica della terra fra siccità e sconvolgimenti vari. La lenta operosità umana descriveva con la fatica un mondo in cui parlare era forse già cantare, agire era già predisporre col gesto il corpo al canto della vita.
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