Storie folk: il racconto del movimento revivalistico nato negli anni Settanta e Ottanta
a cura di Tiziano Menduto
In quello che, ormai, è il secolo scorso, gli anni Ottanta sono stati considerati un periodo di riflusso, di allontanamento dal clima ideologico dei decenni precedenti, di disimpegno sociale. Personalmente ricordo un clima diverso. Ricordo la voglia di tanti giovani di incontrarsi per sperimentare nuove modalità di stare assieme attraverso musiche e danze di tradizione. È di quel periodo la nascita di tante associazioni, la riscoperta di vecchi/nuovi strumenti musicali, l’organizzazione di concerti e di corsi di musica e danza, la voglia di scriverne per saziare la fame di una cultura di cui intuivamo l’importanza.
Ma cosa è stato quel periodo di riscoperta del mondo della tradizione? Un insieme informe di iniziative locali non coerenti tra loro o un vero e proprio movimento di revival? Per rispondere a questa domanda, per permetterci di comprendere la vera dimensione di quella storia e fornire alle nuove realtà strumenti e spunti per continuarla, è opportuna la lettura di un recente libro di uno dei tanti protagonisti di quel movimento, Maurizio Berselli, musicista e fondatore di uno storico mensile di informazione sugli avvenimenti nel mondo del folk (STRAbollettino).
Il suo libro – STORIE FOLK – Il folk revival nell’Italia settentrionale e centrale raccontato dai protagonisti – racconta il movimento di folk revival partito dalla metà degli anni Settanta e per farlo usa una forma, una modalità, che costituisce il punto di forza di questo lavoro. Il libro si presenta come un racconto di racconti, come la raccolta di tante storie che compongono un’unica storia. Non vuole avere un taglio accademico riservato a pochi studiosi, vuole documentare un percorso attraverso il coinvolgimento diretto dei protagonisti (musicisti, organizzatori, insegnanti di danza, ricercatori, …) che hanno partecipato alla raccolta delle informazioni e delle schede.Proprio a partire dalla particolare forma del libro, mi è sembrato che per presentarlo fosse necessaria, più che una recensione, un’intervista.
Serviva il racconto di Berselli stesso, la sua esperienza, le sue sensazioni e scoperte nel lungo lavoro propedeutico alle quattrocento pagine del libro (arricchite da una chiavetta USB con immagini, manifesti, reperti fotografici, link a siti in rete, …).
Prima di lasciare spazio alle mie domande e alle sue risposte, non posso però non sottolineare un’importante dedica del libro. Il libro è dedicato all’amico Roberto G. Sacchi a cui noi tutti – musicisti, danzatori, giornalisti o anche solo appassionati di musica folk – dobbiamo molto. Una persona che, come molti lettori ricorderanno, ha dedicato a Folk Bulletin almeno due decenni di passione, dirigendolo e facendolo diventare uno dei principali punti di riferimento e di raccordo del movimento che il libro di Maurizio Berselli ben documenta.
Folk Bulletin: Partiamo da una domanda che può essere il punto di partenza e quello di arrivo per raccontare questa tua avventura. Come ti è venuta l’idea di scrivere Storie Folk? Quando e perché hai sentito l’esigenza di raccontare, di documentare la storia di questo movimento?
Maurizio Berselli: L’idea di scrivere STORIE FOLK mi è venuta nel settembre 2016, dopo aver riordinato la documentazione che avevo accumulato negli anni Ottanta sul folk revival italiano. In quegli anni infatti curavo lo STRAbollettino, mensile di informazione su quanto accadeva nell’ambito del folk, in prevalenza nell’Italia settentrionale e centrale, e ricevevo quindi tantissimo materiale: schede dei gruppi, locandine, manifesti, musicassette, dischi, libri, pubblicazioni, dispense.
Fondato da me e dal mio gruppo Suonabanda nel 1984, lo STRAbollettino veniva spedito per posta agli abbonati e ha svolto un importante lavoro di informazione fino al 1990, quando è confluito in FB Folk Bulletin come rubrica fissa. Diventato in breve tempo un importante punto di riferimento tra le tante realtà esistenti, soprattutto quelle del Nord e del Centro Italia, lo STRAbollettino è stato per me una bellissima opportunità per conoscere gran parte dei protagonisti di quegli anni.
Grazie alla documentazione raccolta con lo STRAbollettino sono riuscito ad avere un quadro generale e insieme dettagliato, regione per regione, di protagonisti e avvenimenti folk degli anni Settanta e Ottanta, nel complesso un’importante e composita storia che, ho pensato, non poteva non essere raccontata. In quel periodo è praticamente nato un secondo movimento di folk revival dedito alla ricerca, alla documentazione e alla riproposta delle musiche, degli strumenti, delle danze e dei canti tradizionali. Di esso si è parlato e scritto poco e marginalmente. Ho pensato quindi fosse necessario raccontarne le vicende e così, anche un po’ incoscientemente dato che non avevo precedenti esperienze letterarie, ho deciso di avventurarmi in questa impresa. Ho contattato direttamente i protagonisti, invitando ciascuno a portare la propria testimonianza e condividere materiali che documentassero la propria storia. Con mia grande soddisfazione, il consenso è stato unanime e c’è stato molto interesse da parte della stragrande maggioranza di coloro che ho interpellato.
F. B.: Nel libro hai limitato la trattazione al folk revival di Nord e Centro Italia. Effettivamente ricordo che nelle prime riunioni (negli anni Ottanta) per creare un coordinamento tra i gruppi le realtà del Sud Italia erano sporadiche. L’impressione era che quelle realtà avessero storie ed esigenze diverse. Cosa ne pensi? Come mai hai scelto di occuparti solo di Nord e Centro Italia?
M.B. Come ricordi anche tu, negli anni Ottanta i rapporti con il folk revival del Sud e delle isole erano pochi e sporadici; ricordo che avevamo contatti costanti con il gruppo calabrese Re Niliu, arrivavano poche notizie, giusto qualche scheda di presentazione di gruppi con i quali però non si è mai riusciti a creare un collegamento. Le esigenze forse erano le stesse e anche le storie e le motivazioni non penso fossero diverse dalle nostre, però sta di fatto che abbiamo vissuto in mondi separati, probabilmente anche per una semplice questione di distanza geografica. Avendo quindi poche conoscenze e scarsa documentazione, ho scelto di limitarmi a trattare ciò che meglio conoscevo, appunto il folk revival del Nord e del Centro Italia. Il mio auspicio è che qualcuno in futuro, magari stimolato dal mio libro, si impegni in un lavoro simile e completi il quadro nazionale raccontando di quanto accaduto nel Sud e nelle isole.
F. B.: Nel libro tu descrivi i protagonisti del folk revival come anelli di congiunzione tra mondi diversi. Sono state molte le esperienze di reale contatto con i portatori di tradizione? Quanto sono importanti per le nuove generazioni questi anelli di congiunzione?
M.B.: Sono domande alle quali le testimonianze raccolte danno precise risposte. Si evince infatti che tanti protagonisti degli anni Settanta e Ottanta hanno avuto un contatto diretto con i portatori di tradizione, riuscendo a conoscere e frequentare gli interpreti che tenevano vivi la musica, il ballo e i canti tradizionali nel proprio territorio, nella propria comunità e quelli che, anche se non più attivi, erano depositari della memoria di musiche, balli e canti tradizionali del passato non più in uso. C’è stato un passaggio diretto di repertori a una nuova generazione, prevalentemente inserita in un ambito urbano, ma in molti casi radicata anche nei contesti originari. Questo ha fatto sì che il patrimonio culturale espresso dalla civiltà contadina non andasse disperso, ma potesse avere una continuità in ambito urbano con un processo di rivalorizzazione e rifunzionalizzazione, e una continuità nei luoghi originari dove la tradizione non si era mai interrotta. E così, a vario titolo e in modi differenti, si è continuato a suonare, a ballare, a cantare.
Dopo quarant’anni, con il venir meno di quasi tutti quegli anziani portatori di tradizione che ci hanno trasmesso i balli, le musiche e i canti, penso che i protagonisti di STORIE FOLK possano essere considerati oggi come nuovi punti di riferimento soprattutto per i giovani, che nulla sanno di quella storia. Ho cercato quindi di far conoscere e valorizzare il loro lavoro documentando le innumerevoli esperienze che si sono susseguite, molte delle quali tuttora continuano. Il libro vuole essere una sorta di guida al variegato mondo del folk revival in Italia dagli inizi, per poi appunto soffermarsi in particolare sugli anni Settanta e Ottanta.
F.B.: Nel libro tu racconti almeno due movimenti di folk revival: quello degli anni Cinquanta/Settanta e quello partito negli anni Ottanta o poco prima. Quali sono state le differenze tra i due movimenti? Pensi che il movimento iniziato intorno agli anni Ottanta sia ancora attivo, si sia esaurito o si sia trasformato in qualcosa di diverso?
M.B.: Nella seconda metà degli anni Settanta c’è praticamente stato un passaggio di testimone dalla prima esperienza di folk revival – dalla fine degli anni Cinquanta ai Settanta – basata sull’interesse per la cultura popolare, l’altra cultura del canto sociale, di protesta e di lotta, a una seconda esperienza – negli ultimi anni Settanta e negli anni Ottanta – dedita soprattutto alla riscoperta e alla valorizzazione delle musiche strumentali e degli strumenti, delle danze e delle musiche da danza. Si è trattato di una sorta di dissolvenza incrociata: mentre diminuiva l’interesse, fortemente connotato politicamente, per le canzoni di protesta e di lotta, nasceva e cresceva l’interesse per le musiche, gli strumenti e i balli tradizionali grazie sia a formazioni propriamente musicali, sia a gruppi che riproponevano la pratica del ballo popolare. Le due tendenze, l’una più politica e ideologica, l’altra invece finalizzata a recuperare e rimodulare forme aggregative tipiche della civiltà contadina, hanno convissuto per alcuni anni, distinguendosi pienamente verso l’inizio degli anni Settanta.
La maggior parte delle storie raccontate nel libro sono agganciabili al presente, nel senso che i protagonisti sono ancora in attività. Negli anni Novanta e Duemila sono nate altre realtà, altri gruppi che hanno dato continuità al movimento revivalistico. Possiamo dire che vi è stata un’ulteriore trasformazione: negli anni Ottanta e Novanta le proposte musicali erano distribuite capillarmente e vi era una buona partecipazione di pubblico ai concerti; successivamente, l’interesse per la musica da ascolto ha iniziato a diminuire ed è cresciuto l’interesse per il ballo, fino ad arrivare all’attuale bal folk, molto amato e partecipato.
La storia, dunque, continua e questo è importante e mi conforta.
F.B.: Negli anni scorsi è stato pubblicato un altro libro, di Goffredo Plastino, che parla di movimenti di folk revival, di movimenti di interesse per il mondo della tradizione orale. Tuttavia, questo libro appare molto diverso e pochi dei protagonisti che tu descrivi sono anche solo citati. Quali sono, a tuo parere, le differenze più rilevanti con il tuo lavoro?
M.B.: In effetti i due volumi hanno un taglio completamente diverso, documentativo con un articolato approccio critico quello di Plastino, documentativo e narrativo il mio. STORIE FOLK è una narrazione corale nata dal coinvolgimento diretto dei protagonisti, ciascuno dei quali ha consegnato il racconto della propria storia. Sono storie che ho scelto di riportare nelle pagine del libro in forma ridotta, facendo tuttavia ampio uso di citazioni per preservare lo spessore, il colore e l’espressività delle testimonianze originarie, evitando semplificazioni o interpretazioni che potessero essere fuorvianti. Le storie integrali, con fotografie, bibliografie, discografie e tanto altro, sono consultabili nella chiavetta USB card allegata al libro. Come tu sottolinei, la maggior parte dei protagonisti che si sono raccontati in STORIE FOLK non sono presenti nel volume di Plastino. Ciò forse è dipeso dal fatto che con il mio libro non ho voluto raccontare di questo o quel musicista, di questo o quel gruppo, ma di un movimento cui hanno contributo in vari modi – chi a titolo amatoriale, chi in veste professionale – tanti soggetti. Ho voluto dare a tutti, maggiori e minori, pari dignità in quanto tutti partecipi di un unico grande progetto culturale.
F.B.: Il tuo libro si propone come un racconto di racconti vari che hai raccolto e riproposto. C’è qualche racconto, qualche storia che ti ha particolarmente sorpreso o che ritieni particolarmente significativa?
M.B.: Si, il libro è proprio un racconto di racconti, tante storie che compongono un’unica storia, tante storie differenti eppure con tratti comuni, tutte significative poiché legate da un duplice filo conduttore: la passione per le musiche, i canti, le danze tradizionali; una dedizione personale coniugata a un’esperienza sociale collettiva.
Faccio quindi fatica a fare la classificazione del più o meno significativo, del più o meno importante.
F.B.: La storia del movimento folk deve molto anche alle riviste che sono state un punto di riferimento per le persone che si avvicinavano al mondo del folk. E non è un caso che il libro sia dedicato a un amico comune, Roberto Sacchi, che è stato tra i fondatori e poi ha diretto per circa trent’anni Folk Bulletin. Quanto pensi siano stati importanti questi punti di riferimento?
M.B.: Le riviste diffuse negli anni ’80 erano poche, assolutamente fondamentali per chi voleva vivere il mondo del folk revival in quanto attorno c’era il vuoto.
La più longeva è sicuramente FB Folk Bulletin, ancora oggi presente! Come pure longevo è stato lo Strabollettino che, fondato nel 1984, ha avuto vita autonoma fino al 1990 e, come sopra ricordato, ha continuato fino alla seconda decade degli anni 2000 incluso in FB Folk Bulletin.
FB Folk Bulletin è stato sicuramente la rivista più importante del settore, per anni praticamente la voce del movimento revivalistico. Mi piace però ricordare anche le altre riviste di cui si parla nel libro: Folk Giornale, Hi,Folks!, Il Cantastorie tuttora presente on line, La Piva dal Carner e Folk Notes che, con temi e approcci diversi, hanno contribuito in maniera importante a far conoscere la cultura musicale di tradizione popolare italiana ed estera. Aggiungo la rivista World Music, che, essendo nata agli inizi del ’90, non è stata menzionata nel libro in quanto fuori perimetro anni Settanta/Ottanta..
F.B. : Concludi il libro auspicando che la storia continui senza dimenticare ciò che è stato recuperato. Tu hai avvertito forte questo rischio di mancanza di memoria? Quali pensi che sarà il futuro, reso ancora più incerto dalle conseguenze della pandemia, del movimento di folk revival? Un movimento ricco e articolato, come quello che abbiamo conosciuto noi, esisterà ancora?
M.B.: Sì, il mio auspicio parte dal fatto che tutto il patrimonio culturale che è stato recuperato negli anni Settanta e Ottanta si stava perdendo ed è potuto arrivare fino a oggi grazie a una generazione di giovani appassionati, oggi sessantenni o settantenni. Ho quindi salutato con grande favore l’arrivo in massa dei giovani nel mondo del folk revival negli anni Duemila, perché sono loro, a mio avviso, che potranno continuare questa storia. Storia nella quale è stata ripresa e portata avanti la socialità espressa dalla civiltà contadina attraverso le musiche, le danze, i canti, rimodulata e rifunzionalizzata in ambito urbano. Ma per continuare questa storia è necessario conoscerla e STORIE FOLK è nato anche per questo, per mettere a disposizione dei giovani uno strumento che la racconti e la documenti, per consegnare a loro la memoria del passato.
Certo, la pandemia in atto ha praticamente interrotto da più di un anno una bella storia folk fondata sulla socialità e l’aggregazione, ma penso che quando usciremo da questa situazione tutto riprenderà, magari con maggior interesse, con maggior slancio. Le esperienze musicali attuali sono tante, i giovani musicisti non mancano, numerose sono le realtà dove si pratica la danza, gli appassionati al bal folk sono tanti, tanti sono i giovani e la voglia di tornare a stare insieme, di ballare, di ascoltare musica sarà tanta.
Per avere informazioni e acquistare il libro: www.artestampaedizioni.it
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