Stefano Cammelli Il bosco magico Pendragon, Bologna 2023
di Placida Staro
La musica nei boschi – so di avere detto una sera in macchina a una ragazza che mi accompagnava in quei mesi e che condivideva con me l’entusiasmo per queste ricerche – non la possiamo chiamare più così. Non è ballo, musica antica o violino… È altro: è culto, forse rito. Il più antico rito dell’Appennino. (Cammelli S., Il bosco magico, 180)
Il bosco magico, uscito per i tipi dii Pendragon editore in quest’ultimo scorcio del 2023, è l’ultima opera di Stefano Cammelli, storico, musicista, operatore culturale e docente, ben noto in ambito folk per aver pubblicato le proprie ricerche sull’Emilia Romagna nei dischi Albatros (1976 – 1979) e nel libro Musiche da ballo, balli da festa, pubblicato nel 1983, per essere stato parte dell’Almanacco popolare e aver fondato il Gruppo Emiliano di Musica Popolare e i Suonatori della Valle del Savena.
Diciamo subito che sono già ragioni sufficienti per catapultarsi in libreria per accaparrarsi la ri-pubblicazione delle trascrizioni musicali – di Nicola Baroni, con orribile mia scrittura manoscritta dei testi – ma all’epoca quello si poteva fare – e il resoconto delle campagne di ricerca etnografica e storica in area bolognese. Gli storici, gli etnografi, gli appassionati studi sociali, di storia locale, della musica, e di storia delle religioni, perfino, troveranno il resoconto delle ricerche sul campo e di archivio, della rilettura dei poemi cavallereschi, degli incontri con i pellegrinaggi mariani e con l’acculturazione dell’Appennino di San Leonardo a cui corrispondono i contraffacta di Coferati; e la normalizzazione del ballo del morto o del ruggeri. Per non parlare degli imperdibili resoconti sulle osterie bolognesi o delle riflessioni sullo spopolamento dell’Appennino e sulle lotte bracciantili.
Ma io e altri che in qualche modo condividiamo questa realtà, abbiamo letto più di trecento pagine in due giorni perché Stefano Cammelli riesce a dare voce a dubbi, interrogativi, illazioni, strade interpretative e riflessioni che rimangono di solito occultate dietro alle azioni e alle parole di chi ricerca e agisce queste musiche, condividendo le motivazioni personali e cercando le strade delle motivazioni collettive.
Come mai ci fu bisogno di un ragazzo di 22 anni perché tutto questo avesse inizio? E quale fu la mia funzione? Oggi, a quasi cinquanta anni di distanza, credo di poter dire che c’era bisogno di una scintilla, nulla di più. (64)
La rifunzionalizzazione e quindi la sopravvivenza delle tradizioni nel contesto complesso della modernità sono dovute per Cammelli, ma condivido in pieno questa considerazione, alla straordinaria capacità di inclusione della città di Bologna. Questo ha reso possibile, da Ungarelli in poi, anche nella ricerca etnografica l’affratellamento fra letterati e illetterati, fra oriundi e stranieri, fra chi cercava e chi comunicava, portando, di fatto, alla condivisione e all’evoluzione:
Per fortuna che ci siete voi! Un’altra cosa importante di Bologna – spesso non pervenuta ai nuovi arrivati – era una sorta di bonomia popolare, estranea a forme estreme di aggressività, a sparate più o meno divisive. Bologna era di tutti e accettava di buon grado tutti. Senza prediche, senza istruzioni per l’uso, senza cittadini di serie A e cittadini di serie B. Non credo che fosse una caratteristica solo di Bologna ma qui, nella mia città, era particolarmente pronunciata, riconoscibile. (21)
La musica dell’Appennino Bolognese – Bruno Zanella, Ariodante Minarini, Primo Panzacchi e, soprattutto, Melchiade Benni, le voci dei cantori di San Giovanni in Persiceto, dei gruppi di mondine, dei suonatori delle osterie bolognesi, uscirono grazie a lui dal silenzio mediatico.
Se oggi, in Emilia Romagna non si può parlare di revival, ma di continua rifunzionalizzazione e re- immissione evolutiva lo si deve al modo in cui Stefano Cammelli ha portato avanti, condiviso e trasmesso il proprio lavoro di ricerca ed il proprio entusiasmo per la musica.In questo libro è raccontata la storia che ha portato i braccianti e le mondine della pianura a riprendersi la voce anche al di fuori delle lotte e manifestazioni politiche.
Quello che di più prezioso condivide, però, è il racconto degli entusiasmi di un giovane che scopriva altre musiche, che si innamorava del violino e degli immaginari fantastici e leggendari, che cuciva la propria identità personale raccogliendo i fili di cronache storiche e leggende.
Il bosco magico è quindi un racconto di antropologia riflessiva che offre a noi tutte le chiavi di lettura, i tracciati interpretativi, che l’autore ha percorso.
Non possono non colpire le suggestioni dei racconti; sui lupi e i violini, sulle ragazze e i boschi, o le ardimentose ricerche di condivisioni internazionaliste rispetto a leggende e strumenti. Ma questa è proprio la testimonianza sulla attualizzazione della mitologia che ancora oggi muove proprio l’essere ancora lì della straordinaria cultura dell’Appennino bolognese.
Perché Stefano, prima di dare finalmente alla luce questo lavoro meditato per anni, è tornato in tutti quei luoghi, ha ripreso il filo dei contatti che si erano interrotti, ha voluto verificare cosa ne è oggi. Quindi le sue considerazioni antagoniste di allora, rispetto alle manchevolezze delle istituzioni della cultura, non ne vengono che confermate.
Il contributo spassionato dei sindacalisti dei lavoratori agricoli (braccianti) in alcune zone della pianura furono l’unico sostegno che incontrai. Gente bella, generosa: abituata a guardarti negli occhi, capire la tua sincerità e quindi seguirti anche in capo al mondo, a condizione che tu fossi uomo di parola. (10)
Non è stato quindi un caso, conoscendo il soggetto, che esattamente a quarant’anni di distanza dall’ormai esaurito Musiche da ballo, balli da festa, Stefano renda pubblico questo testo, restituendo esplicitamente le proprie riflessioni e offrendole in pubblico secondo il proprio ordine di priorità. Così il libro è stato presentato innanzitutto a chi ha condiviso e portato avanti quelle istanze, a Monghidoro, consegnandolo nelle mani di Franco Benni, Bruno Zanella, di chi vi scrive, cioè Placida Staro, infine dei Suonatori della Valle del Savena – I – II – III generazione e dell’Associazione e bene venga maggio. Poi, a quindici giorni di distanza, alle librerie Coop a Bologna, si è tenuta la presentazione ai familiari, agli amici, ricercatori, musicisti e alle istituzioni bolognesi. Infine, prossimamente, verrà presentato in Svizzera, nel suo attuale panorama di azione, quello del turismo culturale, ma anche di chi, allora, mandò le sue troupe fino nell’Appennino, con buona pace della TV nazionale.
Il bosco magico irrompe nel panorama delle pubblicazioni sulla musica di tradizione e in quello dei diari di ricerca etnografica. Scava un sentiero di ricordi in chi ha vissuto l’avventura della ricerca antropologica, storica, etnografica come proprio personale contributo alla lotta politica.Si inserisce in pieno nel dibattito di oggi sulla funzione degli archivi, delle istituzioni amministrative rispeYo alla memoria storica e all’azione di promozione culturale e turistica.
Perché irrompe?
Perché questo è un testo nato da un flusso di coscienza che si rende racconto. Un racconto esplicitamente dedicato ai propri nipoti e che, innanzitutto, dà conto di un percorso e di scelte personali. Stefano, con le sue scelte, ha segnato il destino di migliaia di persone conducendo, a dispetto dell’indifferenza istituzionale e della curiosità stupita degli stessi protagonisti – cantori, suonatori, narratrici – campagne di registrazioni, camminate alla ricerca dei luoghi, studi negli archivi storici. Solo l’incrocio di motivazioni ideali, passioni musicali, esperienze familiari, scelte politiche e competenze storiche ha potuto portare, in soli sette anni -negli anni Settanta del secolo passato – a un risultato così duraturo. All’epoca, 1974, erano il rock da un lato, i cantautori e cantanti, e il liscio di Raul Casadei che, da questa regione, invadevano le platee nazionali. Grazie a Stefano Cammelli Ciao Mare e Gianni Morandi non sono rimasti rappresentanti di un pensiero unico, quello riproducibile nel mercato di impresari, case discografiche e grandi eventi. Anche grazie a lui, e alla unica commistione di genti e generi che ha sempre caratterizzato la città di Bologna, Guccini e Dalla convivono con Morandi e le mondine, e di seguito NCCP, Modena City Ramblers… Stefano ci rende conto di questa esperienza con una sincerità che mette in luce le sue intuizioni più supportate, spesso confermate dalle ricerche di storici della musica, della cultura e da etnomusicologi.
Come nel caso delle ritualità arcaiche ancora praticate in Valle del Savena, del brivido di eternità che procura l’esserne testimoni, del senso di individuale inadeguatezza che causa il volerne rendere ragione razionalmente. Questa sensazione provoca la febbrile ricerca di riscontri storici che, alla fine, inevitabilmente incontra il conflitto con il vivere mitico che ancora opera in questi luoghi.
Non era nulla di speciale, un’ordinanza emessa in occasione della festa dei morti, in cui l’amministrazione comunale ricordava alla cittadinanza che era fatta proibizione di portare cibo sulle tombe, di giocare a carte e a numerosi altri giochi nei cimiteri, e soprattutto era proibito suonare e ballare sulle tombe sia con strumenti musicali che con registratori a cassetta.
… Cercavo un passato, di musiche e di ricordi: nemmeno per un istante avevo creduto che potesse essere anche presente. Eppure l’ordinanza era lì, davanti ai miei occhi. Con il divieto di suonare e ballare sulle tombe. Mai come in quel momento ebbi fisica la percezione che il mondo dell’Appennino era tutto da scoprire ed io, più semplicemente, non ne sapevo niente. (201)
Gli incroci emotivo/intellettuali/ideali di Stefano Cammelli tradotti in azioni da lui e poi da chi ha continuato a suonare/studiare hanno condizionato l’evoluzione della musica, sia nella tradizione locale che nei movimenti di ricerca, ripresa, rivitalizzazione, riproposta di quella che è ora la realtà complessa musicale dell’Emilia-Romagna.
Questo è un libro che incrocia fatti, cronache, racconti e opinioni e, come il suo autore, provoca stupore, commozione, interrogativi.Certo, Stefano ha dentro forse anche un briciolo delle motivazioni che attribuisce ai frequentatori delle osterie bolognesi o che riporta nelle parole di Roberto Leydi:
Finché, l’ennesimo bicchiere di whisky in mano, ancora lucido, Roberto disse: Ogni musica è ricordo di qualcosa e la nostalgia ci assale così, nella notte, giovani e vecchi. (100)
Ma nel completare il suo compito, restituire non solo i documenti, ma anche le riflessioni sulla musica, Stefano consegna alle nuove generazioni, come già fece negli anni Ottanta con noi, le tre parole chiave dell’identità delle culture cittadine, di pianura e di montagna del bolognese. Solidarietà, inclusione, evoluzione sono l’unica prospettiva praticabile per garantire la sopravvivenza di una cultura che vuole realizzare nell’arco di vita di ogni singolo individuo e in ogni piccolo gruppo aspirazioni ideali, espressioni emotive e progetti esistenziali. Una cultura che trova nella danza e nella musica la chiave del proprio consolidamento verso l’azione.
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