a cura di Felice Colussi
Riccardo Tesi rappresenta la sintesi di una generazione di musicisti folk terribilmente curiosa: dagli esordi con Caterina Bueno (scusate se è poco, eh…) alle ricerche con i suonatori tradizionali, alle esperienze trasversali con artisti ben diversi e lontani tra loro. Una carriera all’insegna della curiosità, della volontà di alzare l’asticella e di non saper mai stare fermo, pur mantendo alcuni fondamentali punti fermi, se ci passate il giochino di parole. A qualche mese dall’uscita del suo lavoro con l’Elastic Trio abbiamo fatto con lui una chiacchierata, giusto per verificare che ha fatto nel frattempo e dove lo sta portando il suo organetto nel prossimo futuro.
F. B.: La giusta distanza, questo lavoro a tuo nome che si è preso un po’ di importanti riconoscimenti in giro per il mondo: com’è nato e come si è sviluppata l’idea?
R.T.: Il periodo della pandemia, nella sua drammaticità, ha rappresentato per noi musicisti un blocco totale della nostra attività concertistica ma allo stesso tempo ci ha regalato un lungo periodo da trascorrere a casa, cosa assai rara per chi fa il nostro mestiere. Ho quindi deciso di trasformare questo disagio in opportunità! Finalmente avevo la possibilità di dedicarmi alla composizione in tutta tranquillità, con il tempo necessario che questa richiede. La scrittura di nuove composizioni è un processo lungo e faticoso, fatto di tentativi, di idee scartate, improvvise illuminazioni, ritocchi e limature.
Così piano piano sono nati i brani del nuovo disco, almeno nelle strutture generali.
F. B.: In occasione di questo disco è nato un nuovo trio, che ti accompagna anche dal vivo. Ce ne vuoi parlare?
R.T.: Una volta scritti i brani c’è da dargli un vestito, scegliere i colori, in altre parole scrivere l’arrangiamento. Per questa fase ho lavorato con due nuovi musicisti che poi hanno dato vita insieme a me all’Elastic Trio. Francesco Savoretti è un percussionista straordinario con il quale volevo lavorare da tempo, ci eravamo incrociati in studio per registrare un brano nel disco di Giovanni Seneca. È un grande specialista dei tamburi a cornice, cajon, darbouka e poi ha un passato da batterista che gli permette una buona poliritmia.
Vieri Sturlini invece è stata una bellissima sorpresa perché è un chitarrista eclettico, dotato di un’ottima tecnica, a suo agio in ogni situazione. Non lo conoscevo, ma è bastato un pomeriggio insieme per decidere che era il chitarrista che faceva per me.
Insieme abbiamo lavorato sulle strutture e i grooves generali dei brani, poi sono arrivati i numerosi ospiti con i loro vari colori.
F. B.: In che relazione sta questo trio con i tuoi altri storici progetti?
R.T.: È un progetto appena iniziato che ancora deve dimostrare tutte le sue possibilità, ma posso già dire di essere veramente soddisfatto perché in poco tempo abbiamo trovato un ottimo amalgama e una grande energia! Sono musicisti bravissimi e soprattutto hanno molto entusiasmo e questo è vitale per me!
F.B.: Negli ultimi anni hai dedicato parecchio tempo al tuo ruolo di docente, anche in ambito di Conservatorio. Ci parli di questa tua esperienza?
R.T.: È stata un’esperienza molto interessante, perché totalmente nuova, nella quale avevo la responsabilità di inventare un percorso didattico conservatoriale per uno strumento che appartiene alla tradizione orale e che quindi ha delle modalità di apprendimento tutte sue. Il primo obbiettivo che mi sono posto è stato quello di formare degli organettisti che avessero gli strumenti per inserirsi nel mondo del lavoro. Per cui sì all’apprendimento orale perché sviluppa l’orecchio e la memoria, ma in contemporanea solfeggio, lettura e armonia, perché altrimenti rischi di essere confinato nel ristretto mondo della musica tradizionale.
Studio del repertorio e delle tecniche tradizionali, anche a livello internazionale, ma allo stesso tempo conoscenza delle ultime tendenze dell’organetto attuale. Ho avuto allievi di altissimo livello tecnico perché in Calabria c’è una grande tradizione di organetto; quello che cercato di dare loro è una visione più ampia di quello che si fa su questo strumento e sono rimasto molto contento dei risultati raggiunti. Addirittura ho curato la produzione artistica di Passione Meridionale, il disco del duo di organetti composto da Alessandro Gaudio e Salvatore Pace, due veri virtuosi dello strumento!
Purtroppo la troppa burocrazia e la miopia di alcuni personaggi mi hanno portato a dover interrompere questa bella esperienza, con mio grande rammarico.
F. B.: Perfino scontato chiedertelo: dove va l’organetto in Italia?
R. T.: La situazione attuale dell’organetto diatonico in Italia mi sembra estremamente florida. Il numero dei suonatori è in netta crescita, ma soprattutto il livello tecnico è stupefacente. Oltre alla Calabria che ho citato precedentemente anche la Sardegna gode di ottima salute: negli ultimi anni ho incontrato organettisti impressionanti, che continuano e portano avanti il lavoro del maestro numero uno, Totore Chessa. Inoltre anche lì esistono tante scuole civiche che sfornano ogni anno fior di suonatori: penso al lavoro dello stesso Totore, ma anche a Carlo Boeddu e tanti altri. Poi ci sono gli innovatori e i compositori di nuova musica che stanno facendo cose egregie, per esempio le contaminazioni jazz e contemporanee di Simone Bottasso, per non parlare delle sperimentazioni elettroniche di artisti come Alessandro D’Alessandro o Pierpaolo Vacca. In tutta Italia c’è una nuova generazione di ottimi organettisti che padroneggiano la tradizione e allo stesso tempo sono preparati tecnicamente e teoricamente, (leggono bene, ne capiscono di armonia, ecc…) il che permette loro di allargare il proprio linguaggio e aprirsi alla contemporaneità.
F. B.: Quali saranno i tuoi prossimi lavori?
R. T.: Prima di tutto continua la promozione del mio album La giusta distanza con l’Elastic Trio, che diventa molto spesso Quartetto Elastico con Caterina Sangineto alla voce, all’arpa celtica, salterio ad arco e flauto.
Da poco invece è uscito Un ballo Liscio vol. 2 che riprende e continua il lavoro di Un ballo Liscio, uscito a mio nome per l’etichetta francese Silex nel 1995. Questo nuovo episodio porta invece la firma mia e di Claudio Carboni, che nel precedente appariva solo come musicista. Questa volta Claudio ha condiviso con me tutta la progettazione, la scelta dei musicisti, la scelta del repertorio e via dicendo.
Per quanto riguarda gli arrangiamenti, invece, abbiamo coinvolto Massimo Tagliata, uno dei miei fisarmonicisti preferiti, ottimo pianista e vera e propria enciclopedia del ballo liscio, che ha frequentato a lungo e del quale conosce ogni sfumatura (come Carboni del resto).
Abbiamo lavorato in totale armonia e con grande creatività: mantenere il livello del primo album (da molti considerato un capolavoro) non era facile, ma credo che ci siamo riusciti grazie anche a un gruppo di grandi musicisti comprendente Nico Gori al clarinetto, Maurizio Geri alla chitarra e alla voce, Roberto Bartoli al contrabbasso, Gianluca Nanni alla batteria e il quartetto d’archi Alborada. Ospiti speciali e graditi: Tosca che interpreta Romagna mia alla sua maniera, Paolo Fresu che colora con la sua tromba jazz il valzer lento Laguna Addormentata, Francesco Savoretti che aggiunge il colore nordafricano delle sue percussioni a Verdeluna e infine la magica ocarina di Fabio Galliani, uno dei più grandi virtuosi di questo strumento.
Per il futuro sto lavorando alla produzione del nuovo disco di Massimo Donno, cantautore salentino per il quale avevo prodotto l’album Partenze nel 2015. Seguire la produzione artistica di un album è un lavoro che amo fare e poi Massimo è veramente bravo, oltre che un amico.
Per quanto riguarda invece la mia musica, voglio riprendere al più presto la composizione di nuove cose per il Quartetto Elastico e il duo con Giua, con la quale stiamo pensando di incidere un disco a breve!
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