Il vostro è un nome particolare, che racchiude in sé due strumenti tradizionali di culture diversissime fra loro. C’è un messaggio dietro la scelta di chiamarvi così?
Si, certo. L’idea di questo nome racchiude l’iter della nostra attività e del lavoro che quotidianamente cerchiamo di portare avanti. Il nome infatti nasce dall’unione di due strumenti musicali tradizionali, la Kora (di origine maliana) e la Lira (di origine calabrese). In realtà crediamo non ci siano delle distinzioni tra le varie culture, bensì dei tratti di comunione e di coesione. La musica è lo strumento universale che può racchiudere le storie di tutti i popoli. Il punto di partenza è “avere qualcosa da raccontare”, il resto viene da se. Il bacino del Mediterraneo è carico di miti e culture. L’idea che la contaminazione tra le sonorità (attraverso gli strumenti e le armonie che da essi sono generate, e le parole che si prestano ad essere modellate nei racconti delle nostre storie) potessero servire da collante tra culture che da sempre fanno parte l’una dell’altra pur contrapponendosi, è diventato il nostro punto di forza. Ricercare ciò che è insito dentro di noi, perché ci appartiene benché noi non lo si conosca in modo cosciente, e portarlo all’esterno attraverso un linguaggio che è vicino alla nostra contemporaneità e a ciò di cui noi oggi abbiamo bisogno per ricordare le nostre origini, riappropriarcene e farne nuovamente il nostro punto di forza.
Da quando siete attivi come gruppo e come vi siete formati? Quanto i percorsi individuali dei singoli componenti hanno influito sulla creazione di un suono d’insieme? Presentatevi a chi ancora non vi conosce…
Siamo attivi da quasi tre anni. Il primo incontro è nato tra Domenica R. Buda e Francesco Speziale, che decidono di mettere su una nuova band per poter esprimere ciò che non riuscivano ad esprimere in altri contesti. Le nostre formazioni erano estremamente differenti: classica, pop, rock, jazz. E’ chiaro che queste diverse esperienze hanno dato vita al sound che caratterizza la band e la nostra musica.
La contaminazione di cui parlavamo è iniziata proprio tra di noi. E’ un processo che avviene sia in fase di composizione che in fase di arrangiamento. Buda e Speziale seguono entrambe le fasi, ma ovviamente poi devono conoscere i musicisti che faranno indossare al brano il vestito che loro intendono confezionare.
Esiste un’idea di partenza, che va messa necessariamente a confronto con il materiale sonoro di cui si dispone. Si lavora insieme e non è sempre facile, anzi, spesso le divergenze e i gusti musicali diversi portano a scontri che sarebbe interessante raccogliere in un diario di bordo. Ma quando si è all’interno del progetto, ciò che conta è l’ascolto, il confronto. Se non fosse così verremmo meno a ciò che è il punto di partenza che ha dato origine alla nostra attività. Tutto sommato, oggi possiamo affermare che suonare insieme è davvero uno spasso!!!
Da oltre trent’anni la musica “mediterranea” affascina e coinvolge. Qual è la vostra personale interpretazione delle suggestioni musicali provenienti da questa area?
Beh, il nome della band è emblematico a tal proposito. Il Mediterraneo è una risorsa inesauribile di civiltà e culture dalle quali attingere. Molto spesso risulta piuttosto difficoltoso scindere ciò che a noi piace, da ciò che realmente è funzionale per un brano piuttosto che per un altro.
Spesso sembra che il tempo per raccogliere questo materiale non sia sufficiente. Ci sono così tante cose da scoprire e da poter utilizzare. La parola chiave è “contaminazione”. Nel nostro primo disco “Apri-Battenti” esiste coesione tra strumenti tradizionali calabresi (chitarra battente, lira, tamburi a cornice) ed egiziani per esempio (riqq, sagat, darbuka); o tra armonie: “anagrammi” ne è un esempio. Quel brano infatti raccoglie un input dettato da una tarantella tradizionale calabrese “anagrammato” con sonorità tipiche dei territori della Magna Grecia. L’utilizzo delle scale modali, il VII grado che dista sempre un tono dalla tonica, l’omissione totale del terzo grado, sostituito dall’intervallo di IV.
Lo affermavamo nella risposta alla prima domanda: si tratta solo di ricordare ciò che in tempi lontani ci apparteneva e che col tempo abbiamo accantonato. E’ ciò che noi tutti viviamo quotidianamente. E’ la nostra storia, dalla quale non si può prescindere. E poi il Mediterraneo è la terra in cui viviamo, come si fa a fare a meno di ciò che ti dà vita!
Presentate il vostro spettacolo, gli strumenti e il loro ruolo, la fruizione come ballo e la dimensione d’ascolto…
La formazione è composta da voce, chitarra (classica, acustica e battente), chitarra elettrica, basso, batteria e tamburi a cornice.
Lo spettacolo di quest’anno propone quasi tutti i brani del disco “Apri-Battenti” con l’aggiunta di nuovi brani inediti. I presupposti sono sempre gli stessi: il sound è il frutto di una commistione di generi, strumenti e lingue. Possiamo affermare però di non proporre musica popolare, bensì musica etnica. I puristi e i cultori di questo genere sanno bene di cosa si tratta. Il nostro lavoro non è quello di suonatori tradizionali, ai quali è richiesto lo studio ben preciso di una conoscenza che si tramanda inalterata da generazioni (o almeno questo è quello che si tenta di fare). Per intenderci, i suonatori tradizionali, non useranno mai una chitarra battente come nel nostro disco. Sono due cose differenti, ognuna delle quali vive di propria dignità e propria storia. Il nostro lavoro è quello di raccolta e filtro. Raccogliamo ciò che della tradizione può servirci da punto di partenza per raccontare ciò che oggi siamo.
Lo spettacolo è vario, passa da momenti emotivi molto intensi, d’atmosfera a momenti che recuperano ballate tradizionali calabresi, o che richiamano a tratti l’Africa, che lasciano più spazio alla dimensione ballo. Ha un andamento piuttosto variegato.
Quanta tradizione c’è nel vostro repertorio e quanta composizione?
Per la maggiore i brani sono tutti di nostra composizione e anche quelli presi dalla tradizione sono comunque delle rivisitazioni, come nel caso della “Tarantella del Gargano” o di “U rusciu te lu mari”. La tradizione viene inserita in quanto richiamo di ciò da cui veniamo o anagramma di esso, sia a livello musicale che testuale, ne sono esempio “Anagrammi” (per quanto detto prima), e “Morgana” arrangiata in chiave rock che racconta la leggenda della Fata Morgana nascosta dietro l’omonimo fenomeno atmosferico che noi reggini possiamo ammirare dalle coste di Reggio Calabria osservando la Sicilia.
Voi avete già vinto il Folkontest dello scorso anno, quindi quest’anno suonerete sia in Bretagna al Festival Interceltico di Lorient sia a Folkest. Che effetto vi fa avere la possibilità di esibirvi in due fra i più importanti festival europei del settore?
Per noi sono due conquiste davvero molto importanti che ci caricano di grande responsabilità. La nostra gratitudine va a tutti quelli che hanno creduto e credono tutt’oggi nel nostro lavoro, e che nonostante la nostra “giovane età” (ovviamente vale solo per la formazione, noi per l’anagrafe siamo tutti dei vecchiacci) ci hanno dato fiducia.
Il progetto sta ricevendo davvero tanto. Speriamo noi si possa portare in giro per il mondo un pezzetto della nostra terra e raccontare di essa la sua bellezza e i suoi misteri.
Voi operate in Calabria. Com’è la situazione della musica dal vivo? E quella delle produzioni discografiche?
La situazione in Calabria non è proprio il massimo dal punto di vista discografico, ma crediamo che in realtà rispecchi una situazione mondiale. Il settore discografico è in crisi, ma non diciamo nulla di nuovo. Non esistono case di produzione. Al giorno d’oggi per arrivare ad avere la distribuzione su territorio nazionale, è necessario essere davvero dei grandi imprenditori. Le produzioni si occupano, nella migliore delle ipotesi, solo della distribuzione, spetta al musicista produrre a sue spese un master del disco.
Per quanto riguarda le esibizioni live, anche lì la situazione è un po’ particolare. Purtroppo si sta assistendo a un fenomeno strano che crediamo in realtà, in tempi cronologici e geografici diversi, abbia coinvolto tutti i generi musicali. Si sta verificando una mercificazione della musica popolare, che di fatto musica popolare non è. Gli antropologi e i musicisti tradizionali comprendono bene questo fenomeno e per quanto in realtà non si faccia nulla per scindere le tipologie di lavoro si sta creando una spaccatura. Da un lato coloro che sostengono la tradizione pura che ha dei canoni e delle regole antropologiche ben precise e dall’altro coloro che sfruttano i temi della stessa tradizione per proporre un prodotto vendibile alle masse spacciandolo per lavoro di ricerca. I Koralira seguono un filone che non sta nè dall’una né dall’altra parte. Esiste nel nostro progetto una buona dose di recupero della tradizione ma filtrata attraverso ciò che oggi abbiamo da dire.
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