È In Italia dal 2002 l’iraniano Pejman Tadayon (târ, setâr, bamtâr, oud, voce), nativo di Isfahan, studioso del radif, il complesso sistema della musica d’arte persiana, compositore, didatta ma anche calligrafo e pittore. Musicalmente, vanta collaborazioni con numerosi artisti italiani; già membro del gruppo Sarawan, Tadayon è il fondatore sia del gruppo Navà, che con organico differente da quello odierno ha inciso l’album Viaggio nei colori (2007), sia del trio italo-indiano-iraniano Yar Ensemble, anch’esso con un album all’attivo.
La parola farsi Navâ si traduce con “suono” o “voce che viene da lontano”, ma è anche la denominazione di uno dei sette modi principali della musica classica persiana. Il titolo dell’album Hílat è traducibile con persona furba, ma anche intelligente o acuta, con “un’implicazione in un certo senso mistica” – spiega Pejman – “perché in grado di “capire il mistero del mondo”. Oltre che da Tadayon il gruppo è costituito dagli iraniani Reza Mohsenipoor (târ, setâr, bamtâr) e Hamid Mohesenipoor (tombak), e dagli italiani Martina Pelosi (voce) e Paolo Modugno (daf, dayeréb, dohol): la prima con background jazzistico e di improvvisazione, e studi di canto classico persiano ed indostano, il secondo notissimo produttore, compositore e percussionista specializzato negli strumenti del Medio e Vicino Oriente, anch’egli protagonista con il gruppo Sarawan.
Con la sua musica il quintetto intende collocarsi a cavallo tra la tradizione colta e le molteplici musiche popolari del multietnico Iran, proponendo composizioni in prevalenza originali con un interesse predominante verso il tasnif, forma musicale la cui struttura consente un’ampia libertà interpretativa ed è caratterizzata da un ritmo lento e misurato, e con testi che attingono ai capisaldi della poesia persiana. La musica di Navà contiene una varietà di timbri strumentali, ritmiche che si muovono su misure asimmetriche, voci ricche di abbellimenti e melismi, che usano le tecniche canore tradizionali del tahrir o diventano esse stesse strumento musicale, articolando fonemi che accompagnano o contrappuntano gli strumenti. Anche l’ampio uso di percussioni – non sempre ben visto da una certa linea di pensiero diffusa tra i musicisti d’arte iraniani, i quali sostengono che l’ impulso ritmico debba essere fornito degli strumenti melodici senza interferenze provenienti da percussioni – evidenzia la volontà dell’ensemble di sviluppare una musica che integri i canoni della musica d’arte con le espressioni delle musiche folkloriche.
Ad aprire il CD è la title-track: dopo la sequenza introduttiva di sole corde, si dipana il tema principale in cui i liuti a manico lungo, tra cui spicca il timbro del bamtâr, variante del liuto a manico lungo târ, provvisto di corde più spesse, con accordatura di un’ottava più bassa, sono accompagnati dal tamburo a calice tombak e dal tamburo a cornice di grande taglia daf, mentre la voce di Pejman, supportata da quella della Pelosi, intona versi del mistico Rumi (1207 – 1273). “Yasi” è uno splendido strumentale, costruito sui codici dell’antico modo persiano dastgâh mahur, che mostra analogie con altre forme presenti in molte aree mediorientali. L’apporto percussivo è incisivo con fasi di passo serrato di tombak, daf (qui suonato dall’ospite Shideh Fazaee) e dayeréb, tamburo a cornice di diametro più piccolo del daf, dotato di una sola fila di anelli. Composto su un modo di derivazione popolare, “Didi Ey Del” è dominato dall’inconfondibile timbro caldo dell’oud; il testo riprende liriche di Hafez (1315 – 1390), altro grande maestro del sufismo. Segue il tradizionale “Dastgâh Segâh”, il brano più lungo dell’album, retto dal târ di Reza Mohsenipoor, che si ritaglia lunghe sequenze solistiche, per poi essere contrappuntato dal tombak di suo fratello Hamid. La sonorità argentina del setâr contrassegna “Âmad Sáharì”, che procede solenne, accogliendo versi di Omar Khayyam (1048 – 1131), poeta, matematico, astronomo e filosofo, interpretati dalla bella voce di Martina Pelosi. “Naqsh_E Jahan” assume la fisionomia melodica del bamtâr, accompagnato dal târ e dai tamburi che si ricavano squisiti solo. Tra gli episodi più riusciti del disco anche “Ey Qome Be Hadj Rafteh” che riprende ancora Rumi, mentre “Hanuz Az Shab” offre versi di Nima Yushij (1896 – 1960). Un ricco dialogo tra târ e tombak qualifica “Dastgâh Shur”; in “Biaban” trionfa il suono d’insieme e, qui come nel conclusivo “Siah Va Sefid”, spicca Martina Pelosi con i suoi magnifici vocalizzi.
Per chi non ha consuetudine con la grandissima tradizione musicale iranica, Hílat può rappresentare un accessibile punto di partenza; da parte loro gli appassionati scopriranno un disco attraente per il suo approccio contemporaneo alla tradizione musicale persiana.
Ciro De Rosa
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