Scrive Andrea Verbano in chiusura della presentazione a questo CD: “… Una comunione di epoche e stili, una mescolanza di spiccate individualità e generosi giochi d’insieme. In questo canto allegro e disperato si raccoglie la nostalgia, non il passato, si batte il tempo senza preoccuparsi del futuro. Si attraversa lo spazio con lo sguardo semplice e fiero. Si osserva il caos, non si fanno domande, non ci sono risposte. Ci si confonde nel disordine inconsueto delle libere scelte. Rhapsódija Trio non passa, non arriva. Continua…”. Parole che fotografano alla perfezione la dimensione artistica di questo trio, anche e soprattutto dopo il doppio cambio di musicisti (il fisarmonicista Nadio Marenco al posto di Gian Pietro Marazza) e di timbriche (la chitarra acustica di Luigi Maione che diventa una elettrica Gibson Les Paul del ’71). Difficile, se non impossibile, catalogare in schemi rigidi la proposta dei Rhapsódija Trio e descriverne le caratteristiche a parole. Più probabile ipotizzare un percorso stilistico che dal precedente “Poetical Roentgen Kabinet” del 2008 conduca all’attuale “Chant de Joie et de Regret”: là si teorizzava la necessità di radiografare gli strumenti fino a trovare la loro più intima essenza, traendo da essi tutto il possibile e l’impossibile; qui quella necessità si applica al musicista, al suo mondo emotivo, alla sua capacità di instaurare un dialogo con l’ascoltatore che sia il più diretto possibile, ma senza facili scorciatoie o semplificazioni, pur non rinunciando alla propria, personalissima, strategia interpretativa. Esemplari, in questo senso, la rilettura della “Danse Macabre” di Camille Saint-Saëns e dell’“Estate” di Antonio Vivaldi, non a caso forse la meno eseguita delle “Quattro Stagioni”; ma anche, sul fronte compositivo, la stupenda “Milonga de Ternura” del violinista Maurizio Dehò, unico rimasto della formazione originale del trio e ora più che mai cardine della formazione; oppure, fra i tradizionali, “Piros Prettyes Ruháskadban-Hora Martisorului”, nella sua strenue fase introduttiva al finale virtuosismo trascinante e mai fine a se stesso, in cui violino, fisarmonica e chitarra elettrica giganteggiano a rincorrersi. La discografia del trio milanese si arricchisce di un’altra perla. E noi, da antichi fan, non possiamo che gioirne.
Roberto G. Sacchi
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