Sapevo che non sarebbe stato facile per Roberta Alloisio dare seguito a quel vero gioiello che è “Lengua Serpentina”, un lavoro che non temo affatto di definire fra i dischi dialettali più belli ed affascinanti (specie, ma non solo, in lingua genovese) usciti negli ultimi anni. E ne era consapevole pure l’artista che infatti si è presa tutto il tempo necessario prima di rientrare in studio, cercando la strada giusta per evitare un’inutile clonazione del suo esordio discografico (come era lecito attendersi) ed allo stesso tempo dare una sorta di continuità al cammino intrapreso circa tre anni prima insieme all’Orchestra Bailam.
Stavolta però non c’è più il valido ensemble genovese a coadiuvare la cantante, non solo per la parte strumentale ma anche nella stesura delle musiche, e questo ha inevitabilmente comportato un certo allontanamento da quelle sonorità mediterranee che permeavano quell’album.
Eppure “Janua” mostra una certa continuità nel lavoro dell’Alloisio, non fosse altro per l’uso del suo dialetto (anche se stavolta non manca l’italiano) e la straordinaria vocalità di questa interprete che non esito ad annoverare fra le più dotate della scena musicale italiana (prova ne è, del resto, il Premio “Teresa Viarengo” che si è aggiudicata due anni fa) e che, anche in virtù del suo passato artistico (compresa una considerevole esperienza teatrale), è davvero in grado di affrontare qualsiasi repertorio o canzone.
In “Janua” poi le atmosfere sono spesso differenti, anche per la presenza di un manipolo piuttosto ampio di musicisti impegnati, fra i quali è impossibile non citare Mario Arcari (che ha pure composto la musica di “Donna Serpente”, su un testo rinascimentale), Armando Corsi (coautore, con Max Manfredi, di “Fado del santuario”) e i sempre effervescenti Birkin Tree che appaiono nella rilettura di un tradizionale occitano, “Al pont de Mirabel”, pregevole “digressione linguistica” che non stona affatto nel contesto generale dell’opera. E come non menzionare ancora Adolfo Margiotta (con cui la cantante sta portando in giro un bello spettacolo teatrale-musicale dedicato a Piero Ciampi che vi consiglio di non farvi sfuggire) e lo stesso Max Manfredi, presente nell’altra sua composizione (“Venditrice di vento”) offerta alla concittadina.
A fare da collante, a dare cioè una certa omogeneità a “Janua”, ha però provveduto in maniera fondamentale il maestro Fabio Vernizzi, pianista di estrazione jazz convertito alla musica delle radici grazie anche alla sua recente collaborazione con gli stessi Birkin Tree (è fra i protagonisti infatti, di “Virginia”, l’album più recente sfornato dal gruppo di Fabio Rinaudo).
Suoi sono gli arrangiamenti, vari ed eleganti, e sempre basati su un impianto strumentale delicatamente e rigorosamente acustico (la batteria è pressoché assente ma c’è Marco Fadda con le sue mille percussioni) e sue sono anche le musiche di diverse canzoni, di nuovo modellate su testi preesistenti (perlopiù di anonimo) e fra le quali mi piace ricordare in particolare l’intensa “Amore no te dubitare” (fra gli episodi più suggestivi del CD) e uno dei pochi momenti in cui il tempo accelera lievemente, “La monaca sposa”.
Oltre alle canzoni di Vernizzi e quelle firmate dagli autori di cui si è detto prima, “Janua” contiene anche un paio di veri classici della musica genovese con cui Roberta ha coraggiosamente scelto di confrontarsi: “Ave Maria Zeneize” e ancor di più “Lanterna de Zena”. Inutile dire che l’esame è stato superato a pieni voti, proprio in virtù di quelle qualità vocali ed interpretative che le sono consone. Le stesse che le hanno permesso di aprire “Janua” con “Gli occhi della mia bella” un brano in cui è accompagnata solo dal pianoforte e di concluderlo con un frammento per sole voci femminili, “Donna che apre riviere”, una delle quali appartiene alla brava Esmeralda Sciascia. A tal proposito mi viene in mente un’ultima cosa che stavo per scordare e che risulta nondimeno importante: c’è un altro elemento che funge da filo conduttore ed è la forte componente femminile che si riscontra in buona parte dell’opera, ove si racconta spesso di donne o si narrano storie viste attraverso i loro occhi.
L’unico mio rammarico è che è rimasta fuori una gran bella canzone come “Polorum Regina” (in latino, si può comunque scaricare in rete), ma anche così il giudizio finale è molto più che positivo e candida “Janua” come uno dei dischi più belli dell’anno. Da ascoltare e riascoltare…
Massimo Ferro
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