Quando si recensisce un disco, il “bravo critico musicale” si preoccupa (o dovrebbe farlo) di capire e trasmettere al lettore l’essenza intima di un album. In alcuni casi questa operazione richiede una rapida scorsa al libretto e un ascolto anche sommario del registrato. In altri, ci vuole un po’ più di pazienza e di impegno: il rischio è quello di prendere delle cantonate e fare disastri. Per nostra fortuna, abbiamo avuto dei buoni maestri e abbiamo imparato a nostre spese a non fermarsi alla prima impressione. Come nel caso di questo “Liguriani” che vede allineati in formazione di quintetto alcuni fra i più bei nomi del folk revival italiano: Michel Balatti (flauto traverso in legno) e Fabio Rinaudo (musette bourbonnaise a 16 e 14 pollici) dei Birkin Tree; Filippo Gambetta all’organetto, protagonista di molteplici esperienze sia solistiche sia di collaborazioni quanto mai qualificate (una per tutte, la flautista irlandese Nuala Kennedy, astro nascente dell’isola verde); Claudio De Angeli, chitarrista fingerpicking di navigata esperienza; Fabio Biale, cantante e violinista espressivo ed efficace. Di norma, si sarebbe potuto anche liquidare il tutto con la sommaria descrizione di un “supergruppo” tenuto insieme dal tentativo di vendere qualche migliaio di copie e suonare dal vivo in qualche festival estivo. Niente di più falso. Sì, d’accordo: il repertorio è un po’ eterogeneo (strumentali tradizionali, canti patriottici, ballate narrative, composizioni in stile, perfino colonne sonore teatrali e un “classico” di Paganini) e quindi le radici della compattezza del gruppo non vanno cercate certo qui. Ascolto dopo ascolto, sempre alla ricerca di quel denominatore comune, finalmente lo troviamo, e ve ne rendiamo partecipi: il collante migliore dei Liguriani è essere riusciti a uniformare il loro stile procedendo compatti verso la creazione di un “Liguria Sound” che incarna perfettamente le caratteristiche della regione e dei suoi abitanti; come in un buon cocktail, ingredienti contrastanti che fusi insieme contribuiscono a creare un gusto unico, particolare. 20% di sorriso, 20% di scontrosità, 20% di malinconia, 20% di poesia, 20% di disincanto. Una ricetta che, nella sua sobrietà, avvince, convince e spazza via ogni dubbio sugli intenti del gruppo, che ha ben ragione di esistere oltre ogni considerazione di opportunità. Già tre secoli fa Brillat-Savarin scriveva che con qualche goccia di amaro il dolce risulta ancora più dolce. E’ vero. Lasciatevi incantare. orders@felmay.it.
Roberto G. Sacchi
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