“Vioulun d’Amoun” si può tradurre liberamente in “violino dei monti”. Con questo nome, è attiva da un decennio una numerosa formazione composta da una quindicina di violinisti –in massima parte torinesi-, riunitisi sotto la guida di Gabriele Ferrero con l’intento di animare bal folk piemontesi e occitani. La scelta stilistica è assai rigorosa, con arrangiamenti semplici e diretti; quella “ideologica”, invece si propone come una “interpretazione della memoria” basata su una profonda conoscenza – teorica e pratica- della materia trattata. Il risultato è un disco immediatamente fruibile e per molti versi atipico nella produzione nazionale, tesa più a condurre il patrimonio tradizionale verso nuove frontiere sonore piuttosto che a ricercarne radici e motivi di fondo. “Violoun d’Amoun”, oltre a essere una ideale colonna sonora per festose serate da ballo, è un deciso contributo alla rivalutazione del violino che, proprio nel bal folk piemontese e occitano, ha dovuto progressivamente segnare il passo di fronte allo “strapotere” dell’organetto e, in misura minore, della ghironda. Un disco che piacerà a chi ama il profumo delle cose semplici ma ricche di sapore e forse farà storcere il naso ai talebani delle sezioni ritmiche più o meno elettrificate, un disco che si conquista uno spazio tutto suo in un panorama di produzioni discografiche complesse e spesso presuntuose, un disco che –e non sia presa come una limitazione,anzi- è uscito nel 2011 ma potrebbe aver visto la luce anche vent’anni fa o vederla fra vent’anni: perché le cose che valgono e lo scorrere del tempo non sempre sono in perfetta sintonia (www.grand-mere.it). Resistente.
Giacomo Sereni
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