Due musicisti che con il rispettivo strumento fanno assolutamente quello che vogliono sono Chris Stout e Catriona Mckay, che insieme costituiscono la spina dorsale dei Fiddlers’ Bid e che ora con questo Laebrack si propongono in duo su disco, forti dell’intesa acquistata in dieci anni di partnership musicale. A conferma della serietà dei due artisti, non si trovano qui sfoggi di abilità e numeri ad effetto, ma tanta buona musica che cattura l’attenzione. Da subito si nota la scelta di incidere i suoni in modo molto diretto, ponendo l’ascoltatore vicinissimo agli strumenti, in grado all’occorrenza di avvertire con naturalezza lo stridio dell’archetto sulle corde del violino e il martellare delle unghie su quelle dell’arpa. Per un verso, è questo un modo assai amorevole di ricordarci che un buon strumento musicale è un miracoloso manufatto di legno e di corde; per altro verso, incidendo e ascoltando in questo modo la musica, non un dettaglio né una sfumatura espressiva vanno perduti, e questo esalta al massimo, in particolare, la qualità sopraffina del violino di Stout: la cui sicurezza, espressività e cristallina intonazione non finiscono di stupire. Da parte sua l’arpa della McKay rifugge dall’abuso dei riverberi, tenendo a freno quelle risonanze che sono la benedizione ma spesso anche la maledizione delle arpe, a tutto vantaggio dell’immediatezza del suono e dell’intelligibilità del fraseggio. Le nove tracce comprendono materiale tradizionale delle Shetland e composizioni contemporanee; se si eccettua la progressione incalzante dello Hangman’s Reel, già cavallo di battaglia di Aly Bain (qui in una versione da urlo, ma non ci aspettavamo nulla di meno), la musica dell’intero album scorre senza fretta né eccessiva enfasi, tra melodie, accelerazioni e pause, fughe e meditazioni, unisoni, brevi monologhi e squarci armonici. Il tutto senza una sbavatura e con la tranquillità dei forti: averne.
Luigi Fazzo
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