Una volta tanto, partiamo dal fondo, dalla traccia numero 20, la conclusiva del disco, “Ragazzo gentile”. Una melodia dolce e accattivante, presa in prestito da Schubert, per un testo autoironico che recita: “…mi stai a sentire, ma dimmi perché?” ma nello stesso tempo energetico: “c’è da costruire paesi e città, buttare via i morti e andare più in là”. Abbiamo cominciato a scrivere di questa nuova pagina musicale firmata Giovanna Marini, classe 1937, da questa canzone perché sinteticamente esemplificativa dell’essenza stessa dell’artista.Musicista colta, con tanto di conservatorio alle spalle, Giovanna Marini scrive e interpreta canzoni che invitano alla denuncia del Malpaese in tutte le sue forme, ma non si limita a questo: non dimentica mai il patrimonio culturale rappresentato dai nostri letterati contemporanei (il disco si apre con una toccante versione di “Ricordo di Pavese”, del compianto Mario Pogliotti e verso la fine ospita addirittura un testo di Montale da lei musicato), dai cantastorie popolari e politici (Matteo Salvatore e Ivan Della Mea) e dalla tradizione pura (dal cosentino e dal materano provengono rispettivamente le canzoni “Carceratellu Mia” e “Lu Metène”). Ma ciò per cui dobbiamo ringraziare Giovanna Marini è soprattutto la consapevolezza che una canzone non può limitarsi a raccontare un problema o una notizia ma deve sempre comunicare emozione. E in questo “Un paese vuol dire” di emozioni ce ne sono davvero tante, nonostante la scarna pattuglia di musicisti che l’affiancano, in questa prova di grande livello umano e artistico.
Roberto G. Sacchi
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