È finita, passata, messa nel cassetto dei ricordi, di quelli cari che ogni tanto si vanno a riaprire per ritrovarne il calore.
Marra. O meglio, LI Marra: terra e tammorra. Terza edizione.
Terzo anno di vita, di amici e di musica, di cibo offerto con il sorriso che è proprio della gente che abita questi luoghi che ormai sono i luoghi in cui si torna per riscoprire la cordialità e la generosità di una Campania Felix che, ahimè, tanto Felix non è più.
Ci hanno creduto fino in fondo e hanno vinto, hanno avuto ragione a non mollare, gli organizzatori che hanno lavorato perché tanto si realizzasse; sono riusciti insieme a regalare ai marresi e agli ospiti che a Marra sono giunti due serate di musica ma no solo. Due serate che appena finite si ha subito la voglia di rivivere. Riguardando le foto è come riesserci, come riascoltare le risate, il suono di castagnette e di tammorre, dei canti e della vita che lì si raccontava. Si raccontano ancora i volti, le scarpe che battevano l’asfalto sul sagrato della chiesa, gli occhi che si riempivano e i pensieri che non c’erano, che altro non erano che mani battute che accompagnavano musica e balli. Erano scialli colorati e sandali e nastrini che disegnavano l’aria. Era la vitalità di chi pur non avendo mai “votato” lì a Marra tra la gente che ride ha danzato con la voglia di farlo!
Era la festa della musica ma è stata soprattutto la festa della gente per la gente, centinaia le persone che hanno riempito il piazzale, gente che ha la casa lì vicino e gente che è arrivata da lontano perché la voce della ricchezza di anima di questa nuova festa che è nata dove pareva fosse invece esanime la tradizione, rinata e risplendente lì dove in realtà tutti la tengono nel cuore. La gente con le camicie sudate e i capelli bagnati perché qui si balla sempre e non ci si risparmia, gente con addosso l’odore del cibo fatto dalla gente perché così, con il cuore, è ancora più buono. Giovani donne dalle gonne lunghe e dalle spalle scoperte che riempivano l’aria di grazia e di sorrisi, di occhi languidi e di pensieri. Donne che hanno ritrovato qui l’odore e il sapore della propria giovinezza, dei corteggiamenti, dei no che sono forse e dei si che sono per sempre.
È lo spirito che ha fatto questa festa, quello della tradizione rappresentata dai padri che vivono ancora e cantano e che non moriranno mai perché sono nei ricordi di ognuno; nella terra della tradizione è stato “l’albero di canto” a dare il via, ad aprire la finestra sul mondo della musica che qui si chiama tammurriata, che qui racconta di carri e di saluti e di permessi e di amore e di scherno, di furti passionali tra danzatori, di ammiccamenti, di votate che è come “votare” i fatti che la vita ci offre. Giovanni del Sorbo con in mano un limone ad intonare la fronna, a fare da collante, a dire che la tradizione non è quella che è stata ma la tradizione è ancora qui viva fra la gente che la fa. E poi Simone Carotenuto figlio di questa Marra che oggi lo ospita e lo applaude perché ha portato l’anima di questo posto tra la gente che abita l’Italia intera, lui e i suoi Tammorrari del Vesuvio orgoglio e figli della terra e della tammorra che qui si festeggiano.
Momento di grande suggestione sul palco quando come in un quadro magnifico la materializzazione della tradizione si è offerta al pubblico immenso, zi Giannino, il grande e simpatico Carmine Aquino e Biagio de Prisco, insieme con Simone Carotenuto , insieme a ricordare la grandezza di quest’anima pulsante che è l’agro nocerino sarnese.
E anche quando le luci sul palco si sono spente la festa non è finita, la festa della gente non è fatta solo di palchi e di luci. La gente e la sua storia erano lì, la gente comune e gli ospiti che della tammurriata sono la storia, ballerini di fama e improvvisati danzatori sudati, felici, vivi nella vita che è la loro. La maestà della tradizione che non è solo suono forte di tamburo è rinata prepotente quando Carmine Aquino e Bruno Rea, loro, in mezzo ad un cerchio di occhi spalancati dall’incanto, di bocche aperte quasi a voler catturare la magia di cui erano testimoni, di voglia di non essere in nessun altro posto se non lì ad ascoltare, a nasconderlo in un angolo protetto dei pensieri, a custodirlo come un dono prezioso e inaspettato. Per molti magnifici minuti hanno sussurrato cantando i loro pensieri, che fossero di affetto o di scherno, di antipatia o di grande simpatia non lo sapremo mai perché era incanto e sussurro, era bravura ed era arte, quella del popolo, la più grande. Si parlavano, si guardavano, si aprivano segretamente al mondo che li cullava nel palmo, sussurro dopo sussurro, frase dopo frase, fronna dopo fronna; la voce unica regina , non un altro suono; nessuno intruso in quella meraviglia.
Li Marra che accoglie gli ospiti con le braccia spalancate ha aperto la sua casa anche ad una tradizione che per la prima volta si è presentata al suo pubblico, altra cultura, altra gente stessa grandezza e stesso amore. La Puglia e la sua pizzica; la Puglia, il caldo e le tarantate rappresentate a Marra dagli Ariacorte. La tradizione e la maestria: Carlo, la canaglia del tamburello, l’artista, il giocoliere, l’incantatore, lui e sua moglie Moana e tutti gli amici degli Ariacorte a Marra per omaggiarla e per portarsela poi nel cuore e rimanere loro stessi nel cuore di questo luogo magico. Gli Ariacorte e i loro dialetti diversi da quello a cui Marra è abituata; gli Ariacorte e l’energia, la generosità; gli Ariacorte e la voglia di stare insieme, di battere, battere, battere sul tamburello e di ascoltare le voci di donna che sono le voci di una terra che ha lo stesso respiro profondo di quella che qui si chiama agro nocerino sarnese e vesuviano!
Li Marra, la sua festa è terminata, ma non passeranno i ricordi. Non passeranno i sorrisi di Marilù con il suo calore e la sua grazia di danzatrice; non sono passati Iosè, Domenico e la loro simpatia che a braccetto con la bravura non è facile da trovare. Non sono passati e non passeranno gli amici, i vecchi e i nuovi: Cassiopea e le sue battaglie; Raffaella e la sua macchina fotografica; non è passato o’ Russullil e non passati Vincenzo e Raffaele con i loro sorrisi sempre aperti al mondo; così come non è passato Francesco con la sua capacità di raccontare attraverso un libretto la magia di Marra e della gente, tutta la gente che qui ha un sorriso e un calore diverso. Profondo. Sincero.
Chi scrive ha vissuto il calore, ha vissuto la magia, ha vissuto l’incanto e aspetta che arrivi il prossimo ma oggi ringrazia il popolo di Marra per averla accolta; ringrazia Pasquale la sua voglia di non mollare e la sua simpatia sempre delicata sempre cordiale, gli amici di Nova Marra e ringrazia la casa, quella del Maestro, quella con in un angolo del giardino dei fiori di un colore magnifico, quella con un cane e un gatto che dormono e mangiano insieme, quella in cui chi la abita ha una luce brillante negli occhi; la casa che l’ha fatta sentire nella sua casa; ringrazia i casi della vita che le hanno dato l’opportunità di conoscerlo questo mondo che oramai le appartiene e ringrazia un bimbo dagli occhi blu, il principe Andrea, simbolo del futuro e della speranza di questa terra magnifica.
Luciana Cerreta
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