In tour per presentare il nuovo Cd “Cavalier Faidit”, gli occitani d’Italia Lou Dalfin fanno tappa a Milano e trasformano per una sera un tranquillo circolo Arci della Bovisa in una festosa baraonda dai ritmi esagitati com’è nella consuetudine quando si parla di Sergio Berardo e della sua band, anagraficamente ringiovanita in alcuni innesti ma sempre saldamente costruita intorno al polistrumentismo energetico del leader, alla precisione dell’essenziale e immancabile Dino Tron, al tiro davvero invidiabile di Riccardo “Ricky” Serra, a nostro giudizio uno dei migliori batteristi rock in circolazione.
Lo spettacolo, apparentemente, non sembra da palati fini: il folk-rock dei Dalfin è sostanzioso e un po’ sovrabbondante, la scaletta sembra buttata lì come una semplice successione di pezzi in cui il denominatore pare essere la ricerca del parossismo virtuosistico e la frantumazione del muro del suono; ma poi, con lo scorrere dei minuti, ti accorgi che quello che accade sul palco è tutto tranne che casuale, tutto risponde a una precisa regia artistica finalizzata a una fruizione a più livelli: per chi vuole semplicemente fare quattro salti, per chi cerca –nonostante tutto- la rude raffinatezza delle atmosfere arcaiche, per chi vuole scoprire la novità di un inatteso melodismo (l’incipit e lo sviluppo melodico di brani come “Fila” sono letteralmente da pelle d’oca), per chi vuole soffermarsi sul significato dei testi, ricchi di riferimenti colti e attualissimi.
Ci abbiamo fatto caso: in tutto lo spettacolo nessuna soluzione armonica e timbrica, nessun interplay fra strumenti melodici (fra cui molto abbiamo apprezzato il violino elettrico di Chiara Cesano) o ritmico-armonici, nessuna soluzione spettacolare o di arrangiamento si ripete più di due volte e mai in momenti troppo ravvicinati fra loro. Chi avesse memoria dei Lou Dalfin di qualche anno fa, sempre trascinanti e potenti ma talvolta troppo accartocciati a protezione del frontmen che gigioneggia e attira su di sé ogni attenzione, se li dimentichi e cerchi di andarli a sentire/vedere dal vivo appena può. Forse il funerale del folk-rock all’italiana è stato celebrato troppo in fretta e il paziente non era nemmeno malato. Superata di slancio l’età della ragione, Sergio Berardo (classe 1958) propone quello che è forse il suo miglior spettacolo di sempre: nessuno si scandalizzi, a questo punto, se scriviamo che il “Blasco” del folk ha nuovamente fatto centro.
Roberto G. Sacchi
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