INTERVISTA A ZACHARY RICHARD (aprile 2010)
Di ritorno da casa…
di Fabrizio Poggi
Zachary Richard è uno dei più importanti ambasciatori della cultura cajun, musica e letteratura comprese. Negli ultimi tre lustri Richard è diventato una stella di prima grandezza in Canada dove ha scalato le classifiche con i suoi dischi cantati in francese e dove ogni suo concerto è un evento al quale accorrono migliaia di persone. Tutto ciò, seppur gratificante, lo aveva però un po’ allontanato dal suo pubblico internazionale. L’anno scorso Zachary è tornato. E’ tornato alla grande con un grande disco in inglese e con la voglia di raccontarsi di nuovo al pubblico italiano che non lo’ha mai dimenticato.
Perché dopo molti anni hai deciso di incidere “Last kiss” un album in inglese che arriva dopo la registrazione di parecchi dischi in francese?
La questione del linguaggio è secondaria. Il mio interesse primario quando scrivo canzoni è soprattutto quello di trasmettere un’emozione. Naturalmente, è altrettanto importante che chi ascolta le mie canzoni, abbia qualche idea a proposito di ciò che sto cantando, e così i miei fan che parlano inglese apprezzeranno maggiormente le canzoni in quella lingua, e lo stesso vale per il francese. Ma è la canzone stessa a scegliersi la lingua, non io. La semplice ragione per cui Last Kiss è un album in inglese è che finalmente ho trovato il tempo di registrare queste canzoni. Nel 1994, durante un concerto a New Brunswick, in occasione dell’Acadian World Congress, fui letteralmente travolto dalla forza insita nelle mie radici franco – canadesi.
A quel tempo non immaginavo neppure lontanamente che avrei passato i successivi 15 anni a registrare principalmente in francese.
“Dansé” la canzone che apre l’album mi ha riportato alle atmosfere dei tuoi primi dischi. La grande differenza è che su questo cd non c’è il coinvolgente suono della tua fisarmonica cajun. Puoi spiegarci perché non l’hai usata e la suoni ancora nelle tue esibizioni live?
Dansé è un tributo alla bellissima tradizione del ballo tipica della Louisiana. Ogni venerdì e sabato sera nella regione cajun, la gente esce per andare a sentire musica dal vivo e ballare. E lo fanno nello stesso modo da generazioni. Io sono cresciuto dentro quella tradizione e mi considero ancora parte di essa. Tornando alla fisarmonica, state certi che la suonerò sempre nei miei concerti. Quando si tratta di registrare, però, la cosa più importante è che la musica si adatti al meglio alla canzone. La fisarmonica cajun è, per certi versi, uno strumento davvero caratteristico. Il meglio di sé lo dà quando viene suonata nel contesto di una canzone che abbia un suono “tradizionale”. Userei la fisarmonica nelle mie registrazioni se la canzone, in qualche modo, lo richiedesse.
Quali sono stati i musicisti che ti hanno maggiormente influenzato?
I musicisti più importanti per me sono sempre stati grandi della canzone d’autore come: Leonard Cohen, Joni Mitchell, Neil Young, Robbie Robertson (curiosamente tutti canadesi), Bob Dylan (che è del Minnesota, uno stato che si può considerare “quasi” canadese), Muddy Waters, Clifton Chenier e Daniel Lanois.
So che sei un grande appassionato di letteratura. Quali sono i tuoi scrittori e i tuoi libri preferiti? Quanto la lettura ha influenzato il tuo modo di comporre?
Questa è una domanda molto bella. Io mi considero uno “scrittore regionale”. Sebbene rifugga dall’essere limitato a un tema in particolare, è anche però vero che mi sento maggiormente a mio agio con argomenti che trattano della Louisiana. In questo senso mi sento vicino allo stile che è stato definito da grandi scrittori come William Faulkner e Eudora Welty, ma anche dai miei conterranei Ernest J. Gaines e James Lee Burke. E’ l’abilità di parlare universalmente a tutta l’umanità trattando di una specifica cultura e area geografica a rendere grandi i libri di questi scrittori. Ho letto soprattutto libri storici e alcuni di quei racconti, qualche volta, si sono trasformati in canzoni. Sono affascinato dal passato e mi intriga la possibilità di trasmettere nelle mie canzoni un certo tipo di tensione drammatica. Per esempio, “Last Kiss” parla della violazione di un grande tabù del profondo sud e cioè di una storia d’amore tra persone di razze diverse. Uno dei due amanti fu persino braccato e inseguito dai cani. Un fatto sicuramente triste e tragico per il personaggio in questione, ma, in qualche modo, molto intrigante per la storia stessa.
La tua bellissima e commovente canzone “The Leeve Broke” (dedicata alla tragedia dell’ uragano Katrina) sembra quasi uno spiritual. Quale è il tuo rapporto con il gospel?
Sono un grande fan della musica gospel. Mahalia Jackson è stata una delle più grandi cantanti di tutti i tempi. Quando posso, il mio posto preferito per ascoltare musica al Jazz & Heritage Festival di New Orleans, è il tendone in cui si suona gospel. Ci sono una forza e una gioia in quella musica, davvero irresistibili.
In “Last Kiss” c’è “Acadian Driftwood”, una bellissima canzone di The Band. Credo di aver capito il perché tu abbia scelto quella canzone così evocativa. Perché quella canzone racconta in maniera perfetta la storia dei tuoi antenati. Ma cosa mi dici a proposito di The Band. Quel gruppo ha influenzato in qualche modo la tua musica?
The Band è sicuramente e da sempre la mia band preferita.. C’era qualcosa di veramente potente e assolutamente unico nella musica di Levon Helm e di quei quattro ragazzi canadesi. Lo spirito della loro musica era, ed è, allo stesso tempo moderna e antica. Lo stesso spirito che anch’io cerco di mettere nella mia musica.
Ci conosciamo da tanti anni (abbiamo anche suonato e registrato insieme) e so che l’Italia è uno dei tuoi paesi preferiti. Tornerai a suonare da noi?
Spero davvero di rivedervi presto. Nel frattempo potete tenervi aggiornati sui miei spostamenti visitando www.zacharyrichard.com, www.facebook.com (cercando Zachary Richard – Official) e www.myspace.com/zacharyrichard1
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