Ricorriamo di rado alla definizione “ethnojazz” perché da sempre siamo rosi dal sospetto che dietro questo genere musicale si celi ormai un certo manierismo che, soprattutto quando agisce in sinergia con il concetto musicale di “mediterraneo”, genera prodotti discografici buoni per platee diverse da quelle che usualmente pratichiamo e dotate di orecchie orientate verso altre sorgenti sonore. Fin dagli anni Settanta, partendo da un’esperienza esaltante come quella del Canzoniere del Lazio, alcuni musicisti hanno imboccato la strada della migliore creatività e hanno saputo trovare, al termine del percorso, un modo davvero nuovo e intelligente di riproporre in musica i legami con le proprie radici. Altri, la maggior parte, hanno invece confuso il mezzo con il fine e i risultati, purtroppo, sono stati conseguenti. Per questo, quando infiliamo un CD nel lettore e ne scaturisce un profumo di ethnojazz, si scatenano in noi meccanismi difensivi e ingiuste ma inevitabili e umanissime prevenzioni. Non è certo il caso di questo lavoro, da un po’ di tempo giacente nello scomparto dei dischi da recensire, che fin dal primo ascolto è stato capace di convincerci e di farci dimenticare -per i 70 minuti circa della sua durata- tutte le nostre tare e i limiti critici di cui sopra. L’ensemble Terrae ha una storia già sufficientemente lunga alle spalle e i suoi fondatori nel 1993 (Rocco Capri Chiumarulo, attore e centante – Stefano di Lauro, autore, compositore e resgista – Paolo Mastronardi, chitarrista e compositore) ne hanno subito connotato le caratteristiche come quelle di un gruppo aperto, in grado di cogliere i più svariati contributi da parte di chiunque condivida il loro progetto musicale. Artisti affermati come il fisarmonicista Antonello Salis, emergenti come il quartetto vocale femminile Faraualla, altri di meriti superiori alla fama collaborano alla confezione di questo disco, che contiene brani di rara bellezza come “Taranterra”, vincitore nel 1998 del premio Città di Recanati per le nuove tendenze della canzone d’autore. Caratteristica fondamentale del CD che stiamo ascoltando è l’inserimento di momenti improvvisativi come repentini squarci che si aprono nella trama e nell’ordito di pizziche, moresche e altri ritmi tradizionali, che mescolano il tutto con pause recitative, suggestioni di ballate, echi di altri mediterranei, lontani e vicini. Una sorpresa piacevolissima, un disco inatteso e consolatorio, capace di mostrare quella faccia buona dell’ethnojazz che troppo spesso ci sembra di non riuscire più a mettere a fuoco.
Enrico Lucchesi
Terrae – “La Favola di Bellafronte e Altre Storie” (CD)
PHM 990801T, 1999
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