Juredurè, primi classificati nella selezione territoriale “Italia Centrale” di Arezzo (tenutasi l’1 dicembre scorso nella città toscana), suoneranno nel corso di Folkest in Festa, la grande kermesse che come ogni anno chiuderà l’edizione 2012 di Folkest. In attesa di poterli ascoltare dal vivo, una breve intervista per conoscerli meglio.
Come molti gruppi che suonano musiche provenienti o ispirate dalle culture dell’Italia del Sud, avete scelto un nome che ha bisogno di una presentazione. Ce la volete fornire?
Emanuele Trocino: Il nome Juredurè richiama un’antica leggenda calabrese. Narra di un Re, del suo “Jus primae noctis”, ovvero il diritto di trascorrere la prima notte di nozze con le spose degli uomini del suo regno, e del suo redimersi davanti ad uno sposo che, non accettando questo suo diritto, rifiuta di concedere la propria sposa al re sfidandolo a duello. Il Re scende in battaglia ma decide di combattere con un fiore accettando, così, il giusto cambiamento. Gli Juredurè, con le loro parole e la loro musica (assimilabili al fiore), su diverse tematiche combattono il loro duello quotidiano, cercando di mantenere viva la propria cultura e le proprie radici e auspicando il cambiamento di tutto ciò che potrebbe e dovrebbe a loro avviso cambiare.
Da quando siete attivi come gruppo e come vi siete formati? Quanto i percorsi individuali dei singoli componenti hanno influito sulla creazione di un suono d’insieme? Presentatevi a chi ancora non vi conosce…
Antonio Rimedio: Siamo attivi dal 2004. Il nostro è stato un incontro casuale: alcuni di noi frequentavano il conservatorio di Bologna e di sera ci s’incontrava per cene e serate studentesche. Da lì è partita l’idea di formare una band che potesse esprimere le tradizioni ma allo stesso tempo portare un’innovazione sonora, partendo da strumenti inusuali per una band (bombardino, clarinetto basso, oboe) e strumenti tradizionali (chitarra battente, percussioni), e mescolandoli agli strumenti tipici di una band (chitarra acustica, elettrica, basso, batteria, tastiere, trombone). L’altro passo è stato quello di comporre e arrangiare i brani tradizionali usando un’armonia più complessa rispetto a quella che si usa nella musica popolare, impregnando i brani di armonie jazz, classiche ed etniche. Un risultato che è stato possibile grazie alle competenze musicali che ognuno di noi si porta dietro. Sui brani inediti abbiamo cercato di associare le stesse sonorità dei brani tradizionali a ritmi più moderni e ballabili. Ci è venuto facile, direi spontaneo, grazie alle tematiche trattate nei testi scritti da Emanuele.
Presentate il vostro spettacolo, gli strumenti e il loro ruolo, come si articola la vostra scaletta sul palco…
Emanuele: Lo spettacolo degli Juredurè è un viaggio in una favola (“Viaggio”, tra l’altro, è un pezzo strumentale contenuto nel primo album, “Senza Confini”). L’inizio di questa favola viene introdotto da una nenia musicale, presentato da un volto mascherato pregno di pudore, sognante ed impaurito per quel che da lì a breve accadrà sul palco. Un viaggio senza confini, appunto, in cui la suggestiva musica parlerà di storie di emigranti, di terre lontane, di proteste contro gli abusi e di speranza di cambiamento, di amori proibiti, di vittime di retaggi meridionali, di storie di popoli, di “Scarsa memoria” (il titolo del nostro ultimo album), di ballate e tarantelle, tra salami e lacrime, di piacevoli ritorni e meravigliose scoperte. Il viaggio si conclude con un inno alla terra perché noi, da buoni “terroni“, apparteniamo ad essa.
Quanta tradizione c’è nel vostro repertorio e quanta composizione?
Antonio: Direi che le due cose vanno di pari passo: di tradizionale c’è tutto il bagaglio culturale e musicale che ci portiamo dietro, poi ci sono le influenze balcaniche che arrivano dal nostro batterista croato, Dino Deghenghi, e da me, da sempre appassionato di musica balcanica. Bregovic in primis… In più frequento quelle zone da circa sedici anni, essendo sposato con un’istriana. Per questo, quando scrivo i miei brani, cerco sempre di lasciare dentro la nostra tradizione meridionale ma allo stesso tempo uso linguaggi diversi (jazz, pop, classica, musica balcanica). Il brano “Il volo”, scritto per la colonna sonora dell’omonimo film di Wim Wenders e inserito in “Senza confini”, ha un ritmo di tarantella e una struttura armonica e formale molto pop. Sembra che il connubio funzioni.
Nel vostro curriculum, alcune collaborazioni prestigiose. Raccontateci queste esperienze…
Antonio: Le collaborazioni cinematografiche avute in questi anni sono arrivate grazie a dei progetti musicali collaterali alla band che hanno visto coinvolti me e il clarinettista Antonio Calzone. Dopo gli studi di composizione, il mio insegnante e ora amico Marco Biscarini mi propose di collaborare presso il suo studio musicale, il Modulab di Casalecchio di Reno (BO), per sviluppare progetti musicali a tutto tondo, dagli arrangiamenti per la musica pop alle registrazioni di musica classica e per il cinema. Un luogo, insomma, dove ogni musicista può sviluppare un proprio personale progetto musicale in tutte le sue sfaccettature: composizione, arrangiamenti, registrazione, grafica, video, etc. La prima scommessa è stata con Giorgio Diritti, che ci propose di scrivere le musiche del suo primo film totalmente autoprodotto, “Il vento fa il suo giro”. Un film che si rivelò fortunato per la carriera di Diritti, tanto da indurlo tre anni dopo a proporci di realizzare le musiche per il film-rivelazione, “L’uomo che verrà”, vincitore del David di Donatello 2010. In queste esperienze ho avuto il ruolo di assistente musicale ed esecutore (oboe e fisarmonica) insieme ad Antonio Calzone (clarinetto e clarinetto basso). Durante questo periodo di lavoro, il produttore musicale Borgatti (oggi nostro discografico) mi chiese, sapendo che ero di origini calabresi, se avevo voglia di scrivere una tarantella tipica delle mie parti per un progetto che stava curando parallelamente. Io la scrissi e dopo circa un annetto Borgatti mi richiamò dicendomi che il regista era rimasto entusiasta e chiedendomi se non avessi per caso una band per poter registrare quelle musiche. Chiamai subito gli altri Juredurè e registrammo i brani. Quel regista era Wim Wenders! L’ultima esperienza cinematografica è la partecipazione alla colonna sonora del film “Itaker”, prodotto da Michele Placido e in uscita al cinema nella primavera 2012, nel quale saremmo presenti anche con un piccolo cammeo in scena.
Che effetto vi ha fatto partecipare a un concorso in cui sareste stati giudicati da una giuria e non dal pubblico? Un esito negativo non avrebbe potuto avere esiti deprimenti per il vostro ensemble?
Antonio: abbiamo affrontato questa prova con serenità: venendo dal mondo della musica classica e delle orchestre siamo abituati ad essere sottoposti a continui giudizi di commissioni professionali. Anzi, per noi è stato un onore essere stati giudicati dal vivo dopo essere stati selezionati sulla base di un ascolto da disco.
Voi, pur essendo calabresi, operate in Emilia-Romagna. Com’è la situazione della musica dal vivo in questa regione? E quella delle produzioni discografiche?
Antonio: Molte delle grandi produzioni discografiche ruotano attorno all’Emilia-Romagna. Basti pensare ai grandi nomi del pop italiano (Pausini, Zucchero, Ligabue, Dalla, Morandi, Vasco, Guccini, Stadio, etc). Per non parlare del lavoro dietro le quinte di arrangiatori come Celso Valli, Fio Zanotti, Mauro Malavasi. Sono tutti emiliani! Il problema, semmai, sta nei progetti piccoli e indipendenti, che oltre ad avere poche risorse per ovvi motivi, trovano poco spazio nella promozione e negli investimenti delle etichette: pochi passaggi radiofonici e pochi concerti live. Ma è la solita storia.
Elvira Impagnatiello, seconda classificata nella selezione territoriale “Italia Centrale” di Arezzo (tenutasi l’1 dicembre scorso nella città toscana), suonerà alla prossima edizione di Folkest, in data e luogo da destinarsi. In attesa di poterla ascoltare dal vivo, una breve intervista per conoscerla meglio.
La tua maturazione artistica: un percorso che parte da cosa per arrivare dove?
Lamia maturazione artistica sicuramente parte “da casa mia”. La mia è una famiglia di musicisti, genitori e fratelli compresi, soprattutto la mamma, musicista per hobby ma di gran talento.
Da piccolissima strimpellavo la chitarra e il pianoforte. Suonavo le canzoni di De Gregori, De Andrè, Nuova Compagnia di Canto Popolare e ben presto ho cominciato a scrivere canzoni. Così subito mi si è presentata l’occasione di esibirmi dal vivo nella mia terra, la Puglia, dove allora vivevo.
Finita la scuola mi sono trasferita a Roma dove ho studiato pianoforte e tecnica vocale. Ho conosciuto bravissimi musicisti jazz con i quali ho collaborato per tanti anni, poi il Folkstudio di Cesaroni, l’incontro con la musica etnica (le produzioni Cni: Novalia, Boom Boom Language,Trancendental, Piccola Banda Ikona) e quello con la musica popolare (Musicanti del Piccolo Borgo, Autura).
Da circa una decina d’anni compongo insieme a Giovanni Lo Cascio musiche per films e documentari (Mario Monicelli, Aurelio Grimaldi, Bryceson Griffiths e altri ) e tutto ciò sempre parallelamente alla mia attività di cantautrice che non si è mai arrestata.
Arrivare dove?
Mi piacerebbe collaborare con produzioni musicali che facciano anche management, quella formula ideale che permette all’artista di concentrarsi solo sulla sua musica e poi, perché no? un grande desiderio: raggiungere un pubblico più vasto.
Da quanto sei attiva come artista e come hai compiuto questa scelta?
Ho cominciato a esibirmi dal vivo fin da giovanissima, avevo appena 13 anni ma ho capito realmente quale sarebbe stato il mio lavoro nel momento in cui ho telefonato, tremante, ai miei genitori per annunciare la mia scelta: “Lascio Lettere e Filosofia e mi iscrivo alla Scuola Popolare di Musica di Testaccio”.
Presenta il tuo spettacolo, gli strumenti o gli artisti con cui ti accompagni e il loro ruolo, come si articola la tua scaletta sul palco…
Fortunatamente posso “suonarmi” le mie canzoni accompagnandomi con il pianoforte o la chitarra e questo mi permette in certe occasioni di essere più agile . Poi a seconda delle occasioni prediligo, oltre a quelli che suono io, strumenti come violino, contrabbasso, batteria ma anche tromba, fiati etnici, violoncello.
Le canzoni che scrivo sono pezzi della mia vita. In concerto le presento senza seguire un criterio particolare (di solito la scaletta la faccio pochi minuti prima di esibirmi).
Il pubblico che mi ascolta, quando ho finito di cantare si porta a casa un pezzettino di me. Ma come le code delle lucertole, dentro di me ricresce qualcosa. Questa è la magia della musica!
Le fonti ispirative e stilistiche delle tue composizioni da cantautrice di quanto risentono relativamente alla tua attività di cantante interprete di musica popolare?
Sono nata nella terra della pizzica, sono geneticamente avvinghiata alle mie radici meridionali, amo la mia attività di cantante interprete di musica popolare.
Una volta mi dissero: “E’ singolare il fatto che nelle tue canzoni si intravveda prepotente un’anima popolare anche quando giochi a fare jazz!” Infatti non potrei mai non essere influenzata stilisticamente dalla musica popolare. Ma quando scrivo certo non ne sono consapevole, mi lascio andare affinché tutto affiori in maniera naturale.
Che effetto ti ha fatto partecipare a un concorso in cui saresti stata giudicata da una giuria e non dal pubblico? Un esito negativo non avrebbe potuto avere esiti deprimenti per la tua attività?
Essere giudicata da una giuria preparata e competente come quella di “Suonare@ Folkest” sicuramente mi ha dato modo di esibirmi con determinazione e poca ansia, sapendo che la scelta, comunque fosse stato l’esito della valutazione, sarebbe stata quella giusta . Poi è andata bene e questo mi ha reso molto felice ma credo che se non fossi arrivata seconda, avrei immediatamente trasformato la delusione in uno stimolo costruttivo.
Tu vivi a Roma. Com’è la situazione della musica dal vivo nella capitale? E quella delle produzioni discografiche?
Certamente non è una situazione positiva e lo dico con molta tristezza… A parte rarissime situazioni dove l’artista è considerato tale e non una macchina che lavora a percentuale, il resto dei locali e associazioni culturali considera la musica e l’arte in genere non un valore aggiunto ma un’aggiunta senza valore.
Per quanto riguarda le produzioni discografiche, se ne conoscete voi qualcuna fatemi sapere!
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