In questa puntata recensioni dei dischi di ERIC BIBB, TAILDRAGGER & BOB CORRITORE, DANIELE FRANCHI, LARRY GARNER, FRIED BOURBON, DAVE ARCARI
DEEPER IN THE WELL
DIXIEFROG , 2012
“Deeper in the well” è un gran bel disco e, come ho già detto altre volte, Eric Bibb non sbaglia un colpo. E’ vero, qualcuno potrebbe obiettare che essendo amico di Eric e avendo suonato con lui potrei anche prendere lucciole per lanterne. Comunque la pensiate sappiate che sono già in tanti ad essere d’accordo con me sulla qualità di questo disco, in cui musica bianca e musica nera si fondono perfettamente. E non era d’altronde così all’inizio di tutto, almeno un secolo fa quando bianchi e neri si scambiavano strumenti e melodie sotto la veranda di casa? Questo è un disco dove non ci sono generi musicali: in alcuni momenti può essere blues in altri gospel e persino country o cajun. Tra le influenze di Mississippi John Hurt e Taj Mahal ci sono sensazioni che riportano sorprendentemente persino a nuances western swing e alla Nitty Gritty Dirt Band della prima ora. Mai come in questo disco Eric ha abbattuto tutte le barriere musicali. E perché stupirsi? Muddy Waters ha sempre detto di apprezzare Hank Williams e Howlin’ Wolf di andare pazzo per Jimmie Rodgers! Come Eric canta in una delle canzoni dell’album: “La musica è qualcosa più della descrizione di un esperto e non m’importa se è hawaiana, egiziana o francese. Se la sento nel profondo vuol dire che quella musica è abbastanza buona per me”. E ancora: “La musica è molto più di uno stile o di una moda, è qualcosa che ha a che fare con l’anima e la passione. E molto più di regole e tradizioni. E’ un mondo libero, suono quello che voglio e non ho bisogno del permesso di nessuno”. Per registrare questo disco (il quarto in poco più di un anno – ma quando si ha il suo talento queste cose possono succedere), Eric è andato in Louisiana una terra in cui da sempre la musica è frutto di un melting pot estremamente variegato. Tutto è nato dal suo incontro con il banjoista Dirk Powell durante le registrazioni nella campagna scozzese nel gennaio 2011 di una puntata di “Celtic Connection” l’importante serie di documentari targati BBC. Eric rimase molto colpito da questo musicista che suona anche violino, contrabbasso e cajun accordion. Durante una conversazione con il produttore Matt Greenhill, Eric espresse il desiderio di incidere un album con un multi strumentista e sia lui che Greenhill pensarono subito a Powell. Così nell’autunno del 2011 Eric trasferisce armi e bagagli a Port Breax in Louisiana a casa di Dirk Powell proprietario anche (fortuna delle fortune) di un ottimo studio di registrazione. Con sé Eric porta la sua inseparabile e preziosa compagna Sari e l’ottimo armonicista Grant Dermody un vero maestro del “less is more”. Di lui abbiamo già parlato su queste pagine recensendo il suo bel disco solista. Sia detto per inciso: questo è il disco di Eric in cui l’armonicista esce maggiormente, forse ancor di più che in “Booker’s guitar” l’album che ha inciso in duo con Bibb qualche anno fa. A supportare la sempre bella voce di Eric un paio di ottimi musicisti locali che si uniscono a Grant e a Powell. Si tratta di Cedric Watson al violino e Danny De Villier alle percussioni, entrambi anche ottimi cantanti. C’è spazio anche per qualche ospite: il triangolo cajun di Christine Balfa, il dobro di Jerry Douglas, il mandolino di Michael Jerome Browne e la chitarra di Michel Pepin. I brani più belli? Difficile dirlo. Forse l’iniziale “Bayou Belle” un blues intriso di gospel con armonica e percussioni sugli scudi o “Dig A Little Deeper In the Well” un country folk venato di cajun preso dal repertorio di Doc Watson, o ancora il blues profondissimo tra Gary Davis e il Delta di “No Further”. Bella anche “Sinner Man” un blues in minore con un mood gospel ipnotico e seducente in cui violino e banjo sembrano essere”ricatturati” dal forza della musica afroamericana (e d’altronde Muddy Waters non iniziò proprio in coppia con il violinista Son Simms); e “Boll Weewil” puro Piedmond blues alla Sonny Terry e Brownie McGhee. I capolavori dell’album secondo me sono due: “Every Wind In The River” che porta la firma del già citato Taj Mahal e una versione dolcissima e toccante di “The Times They Are a Changin’ “ di Bob Dylan con un banjo delicato in primo piano e tutta la band al servizio della voce di Eric che in questo brano raggiunge vette espressive di grande intensità. Un’interpretazione da brividi che fa il paio con la bellissima versione di “Just like a woman” contenuta in un tributo al Dylan di “Blonde on blonde” uscito qualche anno fa. A proposito cercatela su YouTube, non ve ne pentirete. Così come mi sarete grati di avervi consigliato questo disco. Scusate la lunghezza ma per Eric questo e altro!
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TAILDRAGGER & BOB CORRITORE
LONGTIME FRIENDS IN THE BLUES
DELTA GROOVE MUSIC, 2012
L’11 gennaio 1976 al club 1815 nel west side di Chicago, Taildragger (vero nome James Y. Jones) e Bob Corritore si incontrarono per la prima volta. Era il giorno dopo la morte di Howlin’ Wolf ed entrambi si trovavano lì per suonare in un tributo al grandissimo artista appena scomparso. Quel giorno nacque un’amicizia destinata a durare sino ad oggi. Un’amicizia che si è concretizzata nella realizzazione di questo disco di purissimo Chicago blues “vecchia scuola” in cui la carismatica voce di Taildragger incontra l’ottima armonica alla Little Walter di Corritore. Se state cercando qualcuno che evochi la passionale e genuina intensità del blues suonato nei juke joint del south side di Chicago, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, beh, li avete trovati. Originario dell’Arkansas, Taildragger si trasferì a Chicago negli anni Sessanta dove ben presto strinse amicizia con l’uomo che non solo gli inventò il soprannome, ma che lo indicò anche come unico successore ed erede. Stiamo parlando dell’immenso Howlin’ Wolf da sempre ispiratore (insieme a Muddy Waters) del sound di Taildragger. Bob Corritore è un vero hard working man e la sua passione per il blues lo ha portato durante questi anni a lavorare tantissimo non solo come musicista ma anche come giornalista, dj e proprietario di locali per mantenere viva la fiamma del blues. Corritore ha suonato e registrato con tanti grandi del blues: Koko Taylor, Little Milton, Pinetop Perkins, Honeboy Edwards e Robert Jr Lockwood. Ottimi anche i comprimari: Henry Gray al piano (al fianco di Howlin’ Wolf per dodici anni con a partire dal 1956), Kirk Fletcher e Chris James alle chitarre, Patrick Rynn al basso, e Brian Fahey alla batteria.
Un ottimo disco, nel solco della tradizione ma soprattutto … nel nome del Lupo.
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DANIELE FRANCHI
FREE FEELING
AUTOPRODUZIONE, 2012
Daniele Franchi è un giovane chitarrista e cantante ligure che seguo con attenzione da diverso tempo. Daniele si è fatto le ossa accompagnando artisti italiani di grido come Danie Silvestri. Inoltre ha studiato e collaborato con bravi chitarristi come Paolo Bonfanti, Pietro Nobile ed Alessio Menconi. Nel 2009 entra a far parte della band “Zibba & Almalibre” con la quale incide il disco “Una cura per il freddo”. Nello stesso periodo apre i concerti di Jack Bruce, Robin Trower, Gary Husband, Africa Unite, Vinicio Capossela e tanti altri. Come componente degli Almalibre partecipa al “Premio Tenco 2011” e al programma di Serena Dandini “Parla con Me”. “Free feeling” è il suo primo disco solista ed è senza mezzi termini un esordio coi fiocchi. Il lavoro che Daniele e la sua band hanno messo insieme è davvero, versatile ed eclettico con tutte le sue diverse anime musicali ben bilanciate fra loro: quindi non solo blues, ma anche rock e canzone d’autore a comporre un mosaico estremamente variegato ma di grande impatto. Molto curata la registrazione con suoni davvero professionali. La voce di Daniele è bella, matura e personale. Quello che mi piace di lui è che non cerca di imitare nessuno ma di essere semplicemente se stesso. Mi piace il suo stile, uno stile contemporaneo ma con un piede ben piantato nella grande tradizione blues. Il disco si avvale di una sezione ritmica di grande livello compostata da Davide Medicina al basso e Andrea Tassara alla batteria. I brani sono tutti usciti dalla penna di Daniele che si rivela anche ottimo compositore. In particolare mi sono piaciuti “Good feeling” l’ottimo shuffle d’apertura con una bella chitarra sugli scudi, la ballata rock “I can’t sleep tonight”, l’interplay tra la sei corde di Franchi e quella del sempre bravissimo Ray Sconamiglio nel toccante slow “Stay with me” e l’acustica ballata intimista “Giuly”. Ho apprezzato molto anche la sua reinterpretazione del classico di Muddy Waters “When the blues had a baby” con Sean Carney come ospite. Che dire di più se non invitarvi a scoprire Daniele Franchi attraverso i suoi dischi e soprattutto attraverso i suoi concerti. L’invito a tutti gli operatori del settore è quello di scoprire e dare spazio a questi talenti del blues italiano che nulla o ben poco hanno da invidiare ai loro colleghi del resto d’Europa e d’oltreoceano. Prevedo un grande futuro per Daniele perchè se il buon giorno si vede dal mattino…
Per saperne di più o acquistare il disco www.danielefranchi.it
LARRY GARNER
BLUES FOR SALE
DIXIEFROG, 2012
Larry Garner ha forse più successo in Europa che nel proprio paese. Ma questa è una storia che noi appassionati di blues conosciamo molto bene. Gli americani cominciarono ad apprezzare Muddy Waters e Sonny Boy Williamson solo dopo la loro “scoperta” da parte degli inglesi. Eppure anche Garner è un grande e in tempi di assoli pirotecnici si ha spesso voglia di ascoltare puro e semplice blues. Quello che suonava Albert King e quello che ancora oggi suona B.B. King; un blues dove le parti strumentali sono sì importanti, ma non più della qualità della canzone stessa, del suo testo, della sua melodia. E proprio B.B. King è forse l’artista che maggiormente ha influenzato Garner che si rivela essere anche ottimo compositore capace di scrivere canzoni il cui significato trascende ogni barriera per diventare universale. Garner l’ha detto più volte: “Il blues è come una religione ed è capace di guarire ogni tristezza”. Larry Garner classe 1952 è cresciuto a Baton Rouge in Louisiana. La sua primissima ispirazione fu un predicatore con la chitarra che si chiamava Reverend Utah Smith. Garner ben presto fa amicizia con i musicisti della sua zona: Lonesome Sundown, Silas Hogan, Guitar Kelley e Tabby Thomas. Fu proprio nel juke joint gestito da quest’ultimo (il Tabby’s Blues Box ) che una sera Kenny Neal favorevolmente impressionato dal suo talento lo invitò a lasciare il suo sicuro impiego come operaio presso un’azienda chimica per intraprendere la dura ma più soddisfacente carriera di musicista on the road. Il suo primo disco è del 1994 e si intitolava “Too blues”. Era stato chiamato così perché quella era stata la risposta di una celebre etichetta che così etichettava il demo che Garner gli aveva inviato. Troppo blues! Pazzesco. In effetti anche da questo suo disco numero dieci il blues esce fuori prepotentemente da ogni brano. E non potrebbe essere altrimenti quando si ha di fronte un musicista che ha fatto di questa musica la propria vita. “Blues for sale” è un gran bell’album e riflette la nuova fiducia di Garner nella vita dopo che una brutta malattia lo aveva colpito nel 2008. Onestà e rigore trasudano da questo lavoro in cui shuffle in stile downhome incontrano il funky soul caro tanto al già citato Albert King e c’è persino posto per una bellissima ballad alla Otis Redding che davvero scalda i cuori. Io vi ho avvisato!
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FRIED BOURBON
GRAVY TRAIN
NAKED PRODUCTIONS, 2012
Ottimo blues dal Belgio! Nel gennaio del 2012 il giovane ma già bravissimo armonicista Steven Troch ha vinto il trofeo “King of Swing” nel corso di una competizione dedicata all’armonica organizzata da Mark Hummel a Oakland in California. Tutto ciò lo ha portato a realizzare un sogno e cioè a condividere il palco di quella manifestazione con artisti del calibro di Charlie Musselwhite, Little Charly Baty, Billy Boy Arnold, Rusty Zinn e lo stesso Hummel. “Gravy train” è il terzo disco dei “Fried Bourbon” la formazione da lui capitanata. Si tratta di un quartetto formato dal già citato Troch alla voce e all’armonica, Tim lelegems alle chitarre (davvero notevole – poche note ma sempre al posto giusto), Chris Forget al contrabbasso e Stefan Decoene alla batteria. Il disco registrato in mono tutto in diretta senza sovra incisioni (a parte qualche percussione), ha il suono vintage delle registrazioni Chess degli anni Cinquanta. Un suono che pur rimanendo saldamente ancorato alla tradizione blues non manca di lasciare all’ascoltatore una piacevole sensazione di freschezza e leggerezza. La band è davvero compatta e, seppur con moderazione, quando c’è da picchiare duro lo fa con solidità e convinzione. Ciò che piace e meraviglia è la fantastica capacità del piccolo gruppo di fare squadra intorno a un linguaggio sonoro che tra Chicago, Delta, Hill Country e West Coast blues paga il giusto tributo ai grandi del blues. Ecco allora i riferimenti a Howlin’ Wolf, Little Walter, Jimmy Reed, Sonny Boy Williamson II, Slim Harpo, Walter Horton e ai Fabulous Thunderbirds degli esordi (quelli in cui Jimmie Vaughan e Kim Wilson facevano faville per intercederci). Ospite di spicco Gene Taylor, grande pianista californiano, non nuovo a collaborazioni europee (ha suonato anche con i Family Style dei bravissimi fratelli Limido) che aggiunge un tocco di internazionalità alla già convincente formazione belga.
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DAVE ARCARI
NOBODY’S FOOL
DIXIEFROG, 2012
Di lui Steven Seasick eroe incontrastato del punk blues ha detto: “Quel ragazzo dà il sangue per voi – è uno vero, uno che suona dal profondo con una grande anima”.
Lo scozzese Dave Arcari in effetti suona davvero con grande grinta e ha non pochi punti in comune con Seasick Steve. Dave suona un blues fortemente influenzato dal trash country, dal punk e dal rockabilly con alcune puntate verso il folk della sua terra interpretato con uno spirito alla Pogues. Il musicista scozzese canta come se fosse un bluesman di cent’anni. La sua voce è estremamente roca e tirata al massimo. Ascoltando il disco e soprattutto il suo canto mi sono venuti in mente Captain Beefheart, Tom Waits, Jon Spencer, alcune cose di George Thorogood e persino l’ultimo Dylan. Tutto ciò per dire che la vocalità di Dave è davvero molto, molto particolare e può non risultare gradevole a tutti. E’ una di quelle voci che piace o non piace. Prendere o lasciare. Dal punto di vista musicale non c’è molto da aggiungere a quanto ho già scritto: la strumentazione è molto scarna e alla voce e alla chitarra di Arcari qua e là si aggiungono un essenziale sezione ritmica, un armonica o un violino. Il disco è strato registrato tra Scozia e Finlandia, paese in cui Dave è ben conosciuto e da cui provengono il bassista e il batterista che suonano nel cd. Pur non essendo molto conosciuto da noi Arcari (il cui cognome tradisce evidenti origini italiane) vanta centinaia di concerti in tutta Europa e anche oltreoceano. Dave ha infatti girato in lungo e in largo la già citata Finlandia ma anche l’Estonia, la Francia, la Germania, il Belgio, la Polonia e l’Irlanda. Arcari ha grinta ed energia da vendere e si vi piacciono i suoni sporchi, duri e “maleducati” questo disco fa senz’altro per voi. Altrimenti…
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