Il vostro è un nome particolare, quasi una definizione autoironica. C’è un messaggio dietro la scelta di chiamarvi così? E perché la scelta di una lingua straniera?
Sì, la definizione è volutamente autoironica. La nostra musica non ha la necessità di essere alla moda o seguire le tendenze del mercato, strutture per noi prive di valore creativo e artistico… il messaggio è questo: non è retrò e non è alla moda, è semplicemente fuori moda.
Quanto alla scelta linguistica “Démodé” era unicamente l’aggettivo più indicato a veicolare il messaggio, oltre ad essere una parola sintetica e allo stesso tempo musicale. Anche se tutti sbagliano a scriverla con gli accenti giusti!
Da quando siete attivi come gruppo e come vi siete formati? Quanto i percorsi individuali dei singoli componenti hanno influito sulla creazione di un suono d’insieme? Presentatevi a chi ancora non vi conosce…
Come spesso accade tutto è cominciato nell’agosto 2005 in un seminterrato a casa di amici di amici. Dopo qualche anno d’incubazione e assestamenti più o meno accidentali siamo giunti all’attuale formazione nel 2009.
Le esperienze artistiche e musicali di ognuno sono molto diverse, tanto da caratterizzare in egual misura il sound del gruppo: sei persone, sei strumenti, sei vite e sei frequenze diverse… Il suono di insieme è comunque una ricerca continua e una continua evoluzione.
Presentate il vostro spettacolo, gli strumenti e il loro ruolo, i musicisti e il repertorio…
I nostri concerti, così come il disco, vogliono essere dei percorsi evocativi: ci piace far viaggiare l’ascoltatore senza che si sposti di un centimetro. Ognuno, noi tanto quanto l’ascoltatore, è libero di inventarsi un tragitto sul quale camminare o correre ad occhi chiusi. Raccontiamo, un po’ per ciascuno e un po’ tutti insieme, come sei cantastorie.
I Démodé si compongono di clarinetto, sax tenore e contralto, violino, pianoforte, basso elettrico e batteria, il nostro repertorio è completamente originale nonché originato dalle alchimie e dalle suggestioni che di volta in volta si creano quando ci troviamo a suonare assieme.
Ci ha colpito la definizione “liscio d’avanguardia”; potreste spiegarvi meglio?
La difficoltà di inquadrarci in un unico genere, o al contrario l’eccesso di etichette attribuiteci, ci ha portati a costruire delle definizioni ad hoc, spesso ilari, l’ultima delle quali è proprio “liscio d’avanguardia”.
Questa in particolare è nata sul finire delle prove, parlando dell’ultimo brano composto (Baciami Elvira, nda) e che univa la balera all’avanguardia, una miscela esplosiva! Tanto che, dopo le risate, abbiamo deciso di tenerci la definizione come biglietto da visita.
Collocarvi come genere è piuttosto difficoltoso. Quali sentite essere i vostri legami con il folk e con la musica acustica in generale?
Gli strumenti non sono casualmente “per lo più” acustici: è una sfida al caos del mondo odierno, un invito a tornare a godere dell’equilibrio tra i Suoni e i Silenzi. La possibilità di amplificare, riprodurre, modificare i suoni non deve sostituirsi alla naturale vibrazione di corde, pelli, legno, aria: noi fondiamo le possibilità. Anche la Musica Folkloristica locale e lontana, culla dei ritmi, melodie e armonie che noi riscopriamo col sorriso, danza insieme alle regole della musica tonale e alla libertà delle avanguardie: per questo noi stessi abbiamo avuto l’esigenza di chiamarlo “liscio d’avanguardia”.
Partecipare a un concorso come “Suonare@Folkest”, cioè essere giudicati da una giuria per quanto qualificata e non dal pubblico, che emozioni vi ha creato?
Non siamo nuovi a situazioni del genere, abbiamo affrontato questa sfida con entusiasmo e voglia di divertirci così come ci proponiamo ai nostri concerti, cosa che pensiamo sia il pubblico che la giuria abbiamo apprezzato.
Nonostante questo, quando si è coscienti della presenza in sala di orecchie attente e non distratte dai rumori che ci possono essere in un locale, la tensione inevitabilmente aumenta.
Voi operate al Nordest d’Italia. Com’è la situazione della musica dal vivo nel vostro territorio d’azione? E quella delle produzioni discografiche?
La situazione live nel nord-est, come nel resto d’Italia, non è delle più rosee: le occasioni per suonare in situazioni artisticamente dignitose sono sempre più rare e si riscontra una sempre minore disponibilità a scommettere sull’originalità delle proposte.
La nostra esperienza di autoproduzione in ambito discografico ci permette comunque di dire che chi investe in qualità e impegno ottiene, pur con grande lentezza e fatica, la meritata attenzione. Le persone che dopo i concerti vengono a stringerci la mano sono il più grande riconoscimento a tanto lavoro.
Roberto dice
bravissimi!!!