Un album splendido. Emozionante. Commovente. E potrei fermarmi qui.
L’album numero venti di Zachary Richard, un artista che non ha certo bisogno di presentazioni, è un ritorno deciso verso il sound della sua terra natia: La Louisiana. Tutto ciò, naturalmente, senza però perdere di vista la sua patria d’adozione ovvero il Quebec e il Canada. Registrato tra Montreal e New Orleans il disco mette in fila tredici composizioni tutte di gran pregio. Già il primo brano d’apertura “Laissez le vent souffler” setta il mood del disco con un cajun rock in cui a farla da padrone sono l’organetto di Zachary e la potente sezione ritmica. Il brano è un toccante sguardo sugli uragani che hanno spesso sconvolto la Louisiana e tratta il difficile rapporto tra chi non vuole lasciare la propria terra e chi invece deve eseguire sgomberi di sicurezza senza badare ai sentimenti di quella gente che in quella terra ha speso sangue sudore e lacrime. Assolutamente struggente il video della canzone che potete trovare su YouTube e che vi invito caldamente a guardare. Il brano numero due è un’ottima ballad tra cajun, country e rock con un ottimo violino a guidare le danze. A seguire la title track, brano ispirato al disastro ambientale della piattaforma petrolifera BP che nel 2010 ha causato uno sversamento massivo di petrolio nelle acque del Golfo del Messico. “Fou” è il nome in francese del primo uccello marino salvato dopo la tragedia. Ambientalista convinto Zachary usa il gioco di parole tra il nome di quel volatile e la follia dell’uomo che sembra incurante dell’ambiente che lo circonda.
Musicalmente si tratta di un brano fortemente evocativo con un coro da brividi e un arrangiamento da manuale in cui spicca un dolcissimo mandolino. La traccia quattro ci riporta dritti tra i bayou della Louisiana per un funky blues tinto di rock di grande effetto con una convincente fisarmonica e con Zachary che sembra tornato indietro di trent’anni. Il brano racconta di un incontro da sogno con il re dello zydeco Clifton Chenier e con altri grandi protagonisti di quella musica. A seguire un delicato valzer dedicato al tema della separazione che funge da preludio a “Lolly Lo” altra grande song con l’organo sugli scudi e un ritornello contagioso. “La music des anges” è un’altra bella song piena di poesia (e Zachary un poeta lo è davvero con diversi libri pubblicati e alcuni prestigiosi riconoscimenti), un brano spirituale con un finale quasi gospel. “La ballade de Jean Saint Malo” è una canzone davvero coinvolgente che narra la storia di uno dei primi schiavi fuggiaschi alla fine del Settecento tra le insidiose paludi della Louisiana. C’è spazio anche per un boogie alla John Lee Hooker, quasi una work song con l’armonica di Zachary in bella evidenza. Con la traccia dieci tra cajun e zydeco si ritorna al sound più classico e anche “C’est si bon” è una bella canzone d’amore con la musica cajun nelle vene. Il penultimo brano è imperniato su un altro tema caro all’artista: quello dell’identità e fa da volano all’autentico capolavoro che chiude l’album: una canzone intima e sognante che chiude in bellezza un album che dovete assolutamente possedere.
Ah dimenticavo, l’album è cantato in francese, ma arriverete alla fine del disco e non ve ne sarete nemmeno accorti. Questo perché quando Zachary canta ogni barriera linguistica sembra come per magia sparire per far spazio al miracolo della musica e della poesia.
Fabrizio Poggi
Richard, Zachary – “Le Fou” (CD)
Avalanche, 2012
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La lingua francese gli permette un’espressione davvero profonda. Davvero un disco profondo.