AMEK E VANIS CD001, 2007 – FOLK TRADIZIONALE/ITALIA
Come in una registrazione sul campo, il Coro delle Mondine di Novi riporta in vita alcuni canti delle mondariso che riempivano l’aria nelle campagne di un’Italia che non esiste più. Un’Italia povera, piegata dal sacrificio, della quale sarebbe puro idealismo provare oggi nostalgia, ma che è doveroso conoscere, con cui è necessario confrontarsi perché è nelle nostre radici, è la nostra storia (non certo quella della nota trasmissione TV di Giovanni Minoli, dedicata recentemente niente meno che a Fiorello!), anche se l’opera di scellerata rimozione in corso rende l’esperienza, soprattutto per i più giovani, ai limiti della praticabilità. E scrivono bene le mondine, nel libretto che accompagna il disco: Perché la nostra storia? Perché non abbiamo altro da lasciare, la nostra eredità di donne che hanno faticato e sofferto, combattuto e pianto, riso e cantato, comunque hanno vissuto per ciò che oggi sembra così naturale e scontato. Perché la nostra storia? Per i nostri figli e per quelli degli altri, perché nessuno dimentichi, perché umiltà, sacrificio, fede in un mondo diverso non ci abbandonino mai, perché una musica, perché una canzone abbiano davvero un senso e le parole non si perdano nel vento o nelle luci effimere di un palcoscenico. Perché la nostra storia? Perché l’amore dei nostri ricordi diventi motivo di lotta per l’affermazione dell’uomo, delle sue idee, del senso di giustizia e solidarietà che dobbiamo coltivare come si coltiva un mazzetto di riso. Perché anche noi, così piccole, così niente, siamo una radice della storia di chi verrà dopo di noi e ci piace pensare che non siamo state inutili. Questo nobile coro, uno dei pochi a nostra conoscenza a tramandare da oltre trent’anni il glorioso repertorio delle mondine, costituito da donne che hanno lavorato in risaia, andrebbe tutelato dalle azioni dell’Unesco, la storia delle mondine inserita nei programmi scolastici, i canti imparati a memoria come si faceva con le poesie di Pascoli e Carducci (e oggi non si fa nemmeno più). Nel disco, dal titolo eloquente “Se vedeste i mundaris”, sono diciotto brani cantati a voci nude da 21 cantatrici dirette da Maria Giulia Contri: è il canto polivocale tipico della tradizione del nord Italia, che qui emoziona da subito, attraversando un repertorio di classici (Pietà l’è morta, Sciur padrun, Trenta giorni di nave a vapore, Bell’uselin del bosc, O Venezia che sei la più bella…) e composizioni meno note (Il gobbo, Figli di nessuno, Il mio Gino…) ma non meno toccanti. Ed è soprattutto il sentimento di fiero orgoglio che traspare da ogni canto a catturarci: c’è qui la consapevolezza di un amore per una storia vissuta intensamente, la fierezza di rivendicare il ricordo di un mondo che è dentro di noi, di una relazione con la terra che è stata di sofferenza e maledizione perché costata fatica, separazione dagli affetti, condanna alla povertà, sfruttamento. Come per i neri dello spirituals americano, per le mondine cantare era sollievo dalla fatica fisica e morale, comunanza identitaria, rivendicazione nei confronti dello sfruttamento dei padroni. Oggi che servirebbero canti nuovi, pare non si canti più…
Luca Ferrari
Lascia un commento