La Gatta Cenerentola è un universo raccontato e cantato, è parto di una delle menti più geniali del ‘900 partenopeo, il maestro Roberto De Simone. Devo confessare la mia colpa, per intero e dal vivo la Gatta Cenerentola non l’ho mai vista. È un mito da sempre, brani e modi di dire che oramai accompagnano la quotidianità di chi l’ha vissuta, io l’ho amata di riflesso. Succede poi che un gruppo di giovani, di artisti già sulla strada, quella buona, si dicano perché no, e succede poi che il M° De Simone, ovviamente sempre molto attento alla tutela del suo capolavoro decida questa volta di dire si. Nasce così Il Concerto della Gatta
Nasce ridimensionato, nasce che è già figliastra proprio come la Cenerentola che racconta ma proprio come essa diventa luce brillante.
Eravamo già tutti seduti mentre lui è arrivato, piccolo, minuto, infinito nel suo genio il M° De Simone accompagnato dai suoi collaboratori si è seduto al primo posto della prima fila, quello a lui riservato, si è seduto con il suo corpo esile, con gli occhi vispi e con il sorriso di chi aspetta di vedere. E poi, e poi erano lì ad aspettare di vedere e di ascoltare il fior fiore della canzone che appartiene a quella Parthenope che tanto affascina il mondo intero. C’era la signora Spinosi, Patrizia dagli occhi azzurri dallo sguardo e dal viso dolce ma dalla voce potente che non puoi non amare, lei che ha recitato nella Gatta Cenerentola, lei che ho ascoltato in uno dei brani più intensi dell’opera, quello che maggiormente esprime la carnalità e la passione dove i capelli si scompigliano e le braccia si alzano al cielo. C’era Gianni Lamagna, il Maestro, un pezzo di storia della canzone napoletana, forse tra i primi che mi hanno fatto amare un mondo. Lo stesso Gianni Lamagna che ha cantato decine di canzoni e che continua ad incantare, con la passione, con la voce, con le note di un cuore che canta anche lontano dal palcoscenico e che con la gentilezza e l’umiltà dei grandi Maestri sorride e abbraccia. Lo spettacolo è iniziato e dopo i primi minuti già non mi bastavano, non mi bastavano due occhi, ne avrei voluto dieci, cento, per guardare tutti i volti messi lì sul palcoscenico in semicerchio seduti e attenti, con lo sguardo nel vuoto, con il cuore pieno e con la voglia di mostrare. C’era una Cenerentola (Aurora de Cicco) che è uno scricciolo di donna con una forza da gigante, con la bravura di chi molto ha fatto e che cantava che nella vita chi nasce cane e chi gatta. C’era la prima lavandaia (Maria Marone) che supplicava al sole di uscire con la voce che non da scampo, che ti prende e ti racconta di passioni, di quelle forti, di quelle che le donne del sud raccontano meglio ma solo perché hanno il fuoco negli occhi e nella voce, che inveisce e che racconta, che scuote i fianchi e muove le braccia in aria. E la gente non ha parlato, ha riso e ha ascoltato, ha guardato i gesti che nella cultura napoletana sono molto più di un linguaggio, sono il segno distintivo di un popolo, ed io avrei voluto essere quel popolo ma non lo sono, avrei voluto comprenderle meglio ma non importa non ho capito le parole, non tutte, ma gli occhi di chi le pronunciava erano ognuna di quelle parole. Riproposta anche la scena del rosario, alla maniera della Gatta ovviamente, c’erano termini e modi che anche chi non comprende poi capisce bene; c’era la “capèra” e c’era la matrigna. Un’impeccabile, seria, divertentissima, altera matrigna interpretata da Maurizio Graziano che è nella vita quello che è sul palcoscenico: protagonista. Lui e i suoi modi che sono solo i suoi, con i toni e le inclinazioni, con gli occhi neri, con lo sguardo fisso su qualcosa che non è un posto ma un luogo dell’anima, sempre fedele a se stesso e ai propri principi. Una matrigna che ha divertito e che ha dato la possibilità a Maurizio Graziano di esprimere al meglio la sua verve. E mentre matrigna e figlie e figliastre litigavano e mentre il narratore (Mimmo Picardi) raccontava del ballo e del principe che perde la testa per una principessa/gatta, c’è qualcun’altra che ha fatto un sogno e allora il tamburo batte forte e allora inizia il canto che racconta, che disegna, che entra nell’anima come le mani della cantante che andavano su e giù che toccavano e afferravano il vestito quasi a volerselo strappare di dosso, chiudeva forte i pugni mentre cantava che sì, aveva sognato il principe e che proprio quel principe voleva lei, la cercava la desiderava e non si dava pace e si vedeva già regina e cantava e sognava e il pubblico sognava anch’esso perchè vedeva la passione in quelle mani che si contorcevano, vedeva la voglia di una lavandaia che non è solo una lavandaia ma un’anima e un cuore che pulsa, cuore plebeo che batte che è più forte perché ricco, ricchissimo di spigoli, di racconti e di sogni che fanno sudare la fronte, fanno battere il cuore in petto e i piedi sul pavimento. Il tamburo continuava a scandire e a raccontare. E raccontava…raccontava di una scarpa persa e di una promessa di felicità a chi quella scarpa l’avesse indossata, ma questa non è una favola come tutte le favole questa è la Gatta Cenerentola questo è un sogno è un mondo che viaggia parallelo e perpetuo con quello che viviamo, che gli fa ombra e da cui non può prescindere. E madri e matrigne si azzuffano e hanno bisogno di una zingara (Teresa Capasso) che ricordi loro che “…Matalena, Matalena chi nasce vergine e chi prena (incinta) …..”. E Angelo Nocerino cantava e la sua voce, e le voci di uomini e di donne, si mischiavano ed era universo ed era mondo che si materializzava lì sul palcoscenico davanti ad un pubblico che non ha smesso un solo minuto che avrebbe voluto non smettere per molto tempo ancora. Il regista Fabio Fiorillo, era lì, alla fine del semicerchio seduto davanti al suo microfono, con gli occhi lucidi, il pubblico applaudiva e lui abbassava lo sguardo e poi lo alzava al cielo, il pubblico rideva e applaudiva e lui finalmente respirava e il suo corpo magro si riempiva di respiro e il suo coraggio era ripagato dagli occhi pieni di un pubblico che acconsentiva non solo con le mani; così come si riempivano i corpi degli altri componenti della compagnia, Rosangela Angri, Valentina De Renzo, Carmen Febbraro, Amedeo Manenguito, Lello Russo. Lo spettacolo è finito e la gente ha chiesto ancora e ancora, chiedeva di riascoltare storie di cani e di gatti, di popolo, storie di vita che pulsa che solo un Maestro come De Simone poteva raccontare in quella maniera. Il Maestro è rimasto seduto tutto il tempo a vedere questa rivisitazione, questo omaggio alla Cenerentola che era una gatta e a cui un “munaciello” ha tolto il velo di cenere mostrandola nel suo splendore, mostrando al contempo i sogni e le miserie, le lotte e le mani strette, il bisogno di credere e di sperare che sono i soli balsami che permettono agli uomini di non soccombere. Il coro cantava forte e la cantante con i capelli rossi era al centro, si muoveva si sbracciava come avrebbero fatto e come per certi versi ancora fanno le donne che sanno e che vogliono e che pretendono, che sono sempre più gatte e sempre meno cenerentole.
di Luciana Cerreta
Gianni. dice
sempre più gatte e meno cenerentole, queste le parole di chiusura e l’auspicio dell’autrice, anch’essa Gattissima, del bellissimo articolo su Il Concerto della Gatta.
sono stato molto vicino ed ho sostenuto questo lavoro si dalla prima volta che l’ho visto, quella prima volta nel cortile della scuola al Casamale di Somma Vesuviana, quella prima volta ancora più emozionante per la sorpresa di un gruppo di lavoro, eterogeneo per provenienza ed età, che il coordinatore, mi piace pensarlo così Fabio, aveva amalgamato con sapiente conoscenza, rispetto e amore. lo stesso sostegno, ancora più forte, l’ho dato a questa seconda rappresentazione, e bene ho fatto, altrimenti Luciana Cerreta non l’avrebbe vista, non si sarebbe lasciata prendere dalla bravura di tutti protagonisti e nessuno avrebbe letto il suo meraviglioso racconto.
mi congratulo e ringrazio per la gentilissima e cortese citazione.
Luciana dice
Grazie a te Gianni, la citazione è stata onor mio!