Il disco che mancava. Così, senza mezzi termini, ci viene da definire questo lavoro che ha, oltre ai meriti soggettivi di essere estremamente godibile e vario (ci ha fatto compagnia in auto senza stancare da Voghera a Roma) anche quelli oggettivi di aver colmato più che una lacuna, un’autentica falla nella world music all’italiana. S’erano provati a porre rimedio I Suonatori delle Quattro Province, secoli fa (quando ancora ne facevo parte) con la loro versione di “Via del Campo” per Canti Randagi ma l’esperimento non ebbe gran seguito. Parliamo della contaminazione fra il trallalero genovese e gli strumenti, etnici o contemporanei che siano. Come speriamo sia noto a chi ci legge da Trieste a Trapani, questa forma di canto corale popolare ligure si manifesta senza accompagnamento musicale di sorta, essendo le voci umane destinate a imitare le timbriche strumentali e a rendere queste ultime del tutto non necessarie. Non necessarie, ma non vietate, specialmente quando il risultato è così quasi perfetto come in questo “Galata”, in cui la bravura compositiva e esecutiva dei suonatori e dei cantori fa a gara con il rispetto rigoroso ma non stantìo della tradizione. E quando le esigenze tecniche richiedono una deroga (leggi il ruolo più dimesso riservato alle voci basse) tutto questo avviene con buon gusto e coscienza del ruolo. “Un nuovo territorio di poesia” autodefiniscono gli ambiti della loro ricerca Bailam e Compagnia, e miglior sintesi non potrebbe esistere: ennesima, superflua dimostrazione che la tradizione è più che mai viva se si ha voglia di interpretarla con coerente creatività. O creativa coerenza. www.felmay.it
Roberto G. Sacchi
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