Ci sono incontri che sembrano predestinati e il mondo della musica ce ne regala –fortunatamente- ancora qualcuno. Abbiamo avuto la buona sorte di assistere a uno di questi, certamente uno degli episodi più interessanti che il 2013 ci abbia finora portato in dote: artefici, il gruppo alessandrino dei Tre Martelli e il fisarmonicista jazz Gianni Coscia, un giovanotto ultraottantenne che con il suo strumento ha fatto sognare intere generazioni di pubblico in Italia e all’estero. Di norma, la contaminazione fra folk e jazz ha generato ibridi non sempre perfettamente riusciti, nei quali uno dei componenti prevaricava sull’altro, togliendogli smalto, brillantezza e spontaneità. Nel caso di cui stiamo trattando, invece, è accaduto una specie di miracolo, alla riuscita del quale non sono certamente estranee le doti umane dei protagonisti, capaci di costruire un’atmosfera calorosa intorno a un progetto per certi versi rischioso. Lungi da noi, quindi, tentare di ridurre in fredda cronaca quanto ascoltato ad Arquata nell’accogliente Teatro della Juta, ma soltanto cercare di ricreare, questo sì, la divertente piacevolezza della serata: tanta buona musica, condita dalle curiose introduzioni aneddotiche di Gianni Coscia, un vero atto d’amore verso il proprio strumento d’elezione; e poi, nonostante si trattasse praticamente di una “prima” quasi assoluta (sporadicamente Coscia ha già partecipato a dischi dei Tre Martelli), vedere il quasi perfetto amalgama fra le due generazioni che compongono l’attuale formazione alessandrina e l’ottuagenario fisarmonicista, segno indiscutibile di come la musica sappia unire mondi lontani e comunicare al pubblico che proprio dalle differenze, opportunamente gestite, nascono gli insiemi che funzionano. Peccato che, al momento, non siano previste repliche e che lo sforzo di contaminazione creativa che ha consentito di realizzare il concerto di Arquata rischi di rimanere un episodio isolato. In un’Italia che non fa nulla per i propri tesori niente ci stupisce più in negativo: però, ancora una volta, peccato…
Roberto G. Sacchi
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