Un incendio di natura dolosa ha distrutto il Museo dello Strumento Musicale di Reggio Calabria. Al di là della fredda notizia di cronaca quali implicazioni socio-culturali ci sono dietro (e davanti) a questo episodio?
Lo chiediamo all’antropologo e musicista Ettore Castagna…
L’incendio del Museo dello Strumento Musicale di Reggio Calabria risponde a precise logiche mafiose che hanno portato Reggio Calabria verso altri atti intimidatori simili come l’incendio in città di un centro sociale e di una chiesa ortodossa.
Dopo anni di totale disinteresse la ‘ndrangheta inizia a “dire la sua” esplicitamente in ambito culturale.
Le generazioni più recenti della ‘ndrangheta si sono spesso proposte negli ultimi decenni come rappresentanti e referenti del defunto mondo contadino e pastorale. Un antico mondo calabrese che sarebbe stato “tutto” ndrangheta e pervaso dai valori del sangue, dell’onore e della famiglia. Se è vero che questi valori “arcaici” circolano ed hanno circolato in tutto il Mediterraneo è altrettanto chiaro che la ‘ndrangheta in quanto forza organizzata, ricca e potente militarmente, ha avuto buon gioco nel proporre quest’immagine di rappresentante unica del mondo popolare. Anche ai fini del reclutamento delle nuove leve la nuova ‘ndrangheta globalizzata ha pur sempre bisogno del territorio dove pescare. Ecco che quando i fatti culturali in qualche modo vanno a incrinare questa rappresentazione del passato così cara alla nostalgia ‘ndraghetista allora diventano indigesti, nemici, da cancellare. Uno dei tratti forti del Mu.Stru.Mu erano proprio gli strumenti etnici, custoditi interpretati e riproposti tutt’altro che da un punto di vista mafioso. Ciò ha contribuito ad attirare il disprezzo ‘ndranghetista verso questo tipo di realtà troppo lontana da un’idea della musica che esiste solo se funzionale alla cerimonialità della ndrangheta. Su questi temi ho avuto modo di proporre delle analisi meno veloci di questo breve spazio nel mio libro “Sangue e Onore in Digitale” (Rubbettino, 2010).
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