Teatro Rosetum di Milano, 6.11.2010
Chi ha avuto l’opportunità e la fortuna di conoscere Gabriele Mandel, scomparso lo scorso primo luglio, ha potuto constatare che l’uomo, quando vuole, sa essere davvero grande ed illuminato come da luce Divina. Per saperne di più di questa straordinaria figura di saggio, medico, psicoanalista, pittore, musicista, scrittore, filosofo, e via discorrendo può leggere quanto indicato nell’apposito sito di Wikipedia a lui dedicato. Anche per ricordare la sua figura di uomo colto, attento alla religione (era responsabile della Comunità Sufi italiana) ed alle arti, sabato 6 novembre, presso il Teatro del Centro Culturale Francescano Rosetum di Milano, nell’ambito dell’iniziativa Le ultime carovane 2010, è stato messo in scena uno spettacolo, Le vie dei racconti, con novelle e musiche provenienti dall’oriente e dall’occidente. I testi sono stati scelti ed elaborati da Paola Mandel, che li ha recitati con la collaborazione di Aram Ghasemy, mentre l’ensemble musicale è stato diretto dal maestro Fakhraddin Gavarov, già direttore del Conservatorio di Baku, suonatore di tar dallo straordinario talento e persona amabile e modesta, come solo coloro dotati di cuore e talento sanno essere. In una sala gremitissima ed attenta, si sono succedute le storie, raccontate dalle narratrici, in cui hanno trovato spazio sia Ovidio che Jalal alDin Rumi, poeta medioevale, nativo di Konya in Turchia, amato e venerato dal popolo dei sufi. Dove sono stati ricordati sia Fedro che Trilussa, Ibn Hamdis ed Empedocle di Agrigento. Ciò a riprova che la cultura non ha confini ed è fondamentale al fine di comporre controversie, evitare guerre, trovare ambiti comuni di conoscenza, consapevolezza, convivenza su cui crescere insieme, senza lutti e senza drammi… A dar corpo e forza a tutte le parole, ai gesti, alla morale delle storie raccontate è stata fondamentale la musica prodotta dal palco ed apprezzata dal pubblico. Con il maestro Gafarov a dettare i tempi Mouna Amari ha suonato l’ud, sorta di liuto arabo dal suono raffinato e morbido; Sinan Cem Eroglu, ha dato il suo contributo al nay ed al keval (flauti); Federico Sanesi ha suonato le percussioni; Thoni Sorano ha cantato in siciliano, turco e greco. Adem Serdar Uslan, invece, ha rappresentato la presenza dei dervisci rotanti ed il suo roteare è stato mozzafiato, riuscendo a rappresentare, in pieno, quel rapporto tra la terra ed il cielo che questi straordinari mistici interpretano con il loro agire. Una straordinaria esibizione di tecnica rotatoria, di equilibrio segno eloquente della missione da compiere. E la musica…? Straordinaria, intensa, affascinante, stordente. Tanti i brani che si sono susseguiti nel corso della serata e tanti i luoghi di origine a suggello del fatto che la musica è anche parte del bisogno umano di travalicare il terreno per elevare lo spirito verso altri ed alti lidi. Koçdu karvan e Hicaz ilahi sono due brani provenienti dalla Turchia ed appartengono alla cultura dei sufi, della musica da essi prodotta a scopo religioso e meditativo. Chariklachi è un brano, cantato, di origine greca. Intenso, misterioso, arcano, quasi magico nel suo incedere. Old man dance arriva dall’Iran terra, come l’Iraq, generosa di cultura e detentrice di millenni di storia. Paesi oggi purtroppo con problemi oltre che politici anche di deriva culturale e di identità. Bana bana ghel arriva dall’Azerbaijan, ed è ben nota al maestro Gafarov essendo lui originario di questo Paese. Grande ritmica del tar che, in tutti i brani, si può considerare il protagonista strumentale e melodico. Sidi Mansour è un brano popolare di origine tunisina, arrangiato da Mouna Amari. Gehremani proviene anch’esso dalla cultura azera così come Ne ashk olaydie Shahnaz reng-mugam tesnif. Tutti e tre brani molto intensi e dai quali si percepisce l’amore per questo Paese da parte del maestro Gafarov. Di origine araba è Fogh In Nakhal, brano divenuto noto in Italia per l’interpretazione che ne dette Franco Battiato nell’album Cafè de la Paix. Pirati a Palermu, (da sempre cantata da Rosa Balistrieri) ci riporta in Italia rendendo evidenti le affinità tra sonorità arabe e siciliane, comprendendo come la storia e la cultura si possano contaminare senza nulla togliere alla bellezza ed alla ricchezza dell’arte quando è capace di mescolarsi. Sikilliyah è un brano scritto, proprio per l’occasione del ricordo di Gabriele Mandel, da Ibnou Himdiss per le liriche e da Mouna Amari per le musiche. Ayrilig è un saluto, ulteriore, che ci proviene dalla cultura musicale azera mentre con Dinle sozumu è la cultura sufi che saluta il pubblico presente che ha seguito, con attenzione, tutta la rappresentazione quasi vivendone ogni momento e tributando i meritati applausi ai musicisti ed ai recitanti. Una splendida serata di cultura, popolare ed alta, nel contempo che ha dato lustro alla periferia milanese e ad una realtà culturale che ai proclami del “faremo”, preferisce i fatti del “fare subito”. Un concetto che sarebbe piaciuto molto al grande Gabriel Mandel Kha, responsabile della Confraternita Sufi Jerrahi Halveti in Italia ed indimenticabile figura di uomo multiculturale.
Rosario Pantaleo
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