Bruno Grulli e La Piva dal Carner (PdC): da cosa è scaturita in te la passione per questo particolare tipo di cornamusa?
E’ una vecchia storia ma di preciso non la so neanche io. Diversi fattori hanno influito. Una risposta cercherò di darla nella introduzione ad una pubblicazione che da tempo sto preparando e della quale anticipo alcune righe: “.la PdC è un qualcosa che porto dentro fin dalla primissima infanzia, dalla prima volta che sentii parlare di essa in quel giorno che alle finestre di casa salì dalla strada un suono stridulo ed armonioso : “ l’é la piva dal carner” dissero i grandi; la stranezza della cosa s’insinuò fin da allora e definitivamente nel mistero delle mie suggestioni infantili…poi rinfocolate da altri stimoli da quando, dalla metà degli anni Settanta, presi atto che stavano avvenendo ricerche sulla cornamusa del Nord Italia che inconsciamente sapevo essere una cosa nostrana e diversa dalla zampogna che circolava nel periodo natalizio (…i più vecchi, quando vedevano gli zampognari, dicevano che quella cosa si assomigliava ma non era la vera piva dal carner…). Questo mi invogliò ad avviare un recupero di conoscenze che poi prese consistenza nel 1979 con la diffusione dell’omonimo foglio che si proponeva di fissare tutto ciò che restituiva la memoria sull’argomento, compreso il “per sentito dire” poi man mano verificato…se le quattro parole:”la piva dal carner”, non fossero allora state in quel modo ripescate oggi, molto probabilmente, sarebbero solo rintanate nella memoria dei più vecchi e dei defunti e non sarebbero diventate in seguito nome di gruppi musicali, titolo di CD, di blog,di altri richiami che hanno invaso il web… una motivazione razionale non c’era e non ero nemmeno spinto da stimoli professionali. Influirono di certo fattori subconsci… “L’arcaicità e l’originalità dello strumento, la sua stranezza, la connessione con aspetti magici, la particolare colorazione del suo suono che induce alla contemplazione” costituivano motivi di suggestione che conciliavano con la mia attività legata al territorio…”
Com’è nata l’idea di dedicarle, almeno simbolicamente, un’intera rivista? La Piva dal Carner: da quasi quarant’anni questa rivista si definisce un “opuscolo volutamente rudimentale di cultura popolare, ricerca, comunicazione e dintorni a 361°”. Ci puoi spiegare meglio, parola per parola, il senso di questo sottotitolo?
Da 36 anni per l’esattezza ma con fasi alterne e lunghi periodi di letargo; le parole del sottotitolo variano e sono legate ai diversi momenti. Una mattina del 1979 mi svegliai pensando a come fare per organizzare ed inviare ad alcuni interessati il materiale che avevo raccolto sulla piva e mi venne in mente di mettere una copertina davanti alle cartelle su cui avevo redatto gli appunti da fotocopiare. Il titolo non poteva che essere quello dello strumento mitico. Un disegno molto semplice ed un po’ di trasferelli (allora si faceva così) fecero il resto. Disponevo di altro materiale sul ballo e sulla fiaba e diedi ai vari spezzoni assemblati la forma di un giornaletto imitando la semplice impostazione di un fascicolo che avevo visto in una caffetteria-libreria di Dingle (Irlanda). Il sottotitolo apparve solo dal n.6 del 1980 ed era per la precisione: “Opuscolo rudimentale di musica e cultura popolare dedicato agli amici della piva dal carner”. La PdC si è autodefinita “opuscolo” come abbozzo di quaderno di poche pagine, in quanto tale era all’inizio, un po’ di fogli con raccolte di appunti sulla piva ed altri materiali di musica e cultura popolare “dati agli amici della pdc”. Da quelle poche unità vi fu un fenomeno di moltiplicazione di fotocopie fatte da amici per gli amici, ecc.
“Rudimentale”: basta guardare la struttura grafica e materiale della PdC per capirne il motivo. La non dipendenza da altri fu la ragione scatenante e dopo poche ore avevo realizzato un “opuscolo” con la mia macchina da scrivere, le mie foto, il mio materiale, il cartolaio sottocasa. Certo, ne usciva una cosa fatta in casa, grossolana, rudimentale, ma a qualcuno la cosa piacque. Dal n.13 il sottotitolo perse la frase finale ”dedicato agli amici della PdC”, dal n. 33 apparvero e scomparvero altre parole come: dintorni (per dire che non si parlava solo della pdc), rivista (forse una aspirazione celata), ricerca a 360°, cose varie, foglio, volutamente (per il voler mantenere il suo aspetto originario nonostante vi siano state, anche di recente per la Nuova Serie, proposte da parte di grafici esperti per dargli una veste più elegante) e solo dal n. 50 la variante “a 361°” proposta da Gabriele Ballabeni. Insomma in 36 anni si cambia ma ora ci si è assestati su “Opuscolo rudimentale di comunicazione a 361°”
Bruno Grulli: il suo background culturale, quasi quarant’anni di “Piva e di attività per la cultura meno appariscente, quella che deve essere maggiormente difesa, quella che non sarà mai “di moda”?
Beh, veramente per 37 anni ho lavorato nell’amministrazione comunale di Reggio Emilia; dapprima presso l’Ufficio Agricoltura in una attività tecnico-amministrativa che mi ha messo a contatto col mondo rurale e indirettamente con il suo retroterra culturale; quindi, dal 2004 presso l’Archivio Etnomusicologico del Cantastorie all’interno dell’ Istituto Musicale Achille Peri. Le due cose non sono discontinue. L’attività all’Ufficio Agricoltura, aldilà delle incombenze amministrative, mi ha fornito una solida informazione sulla materia del mondo rurale e territoriale che mi ha consentito di vedere la cultura popolare non come “tradizione e nostalgia” ma come espressione connessa ai cicli economici e materiali. Per la Piva ho lavorato solo dal 1978 al 1982 ed ho ripreso dopo il mio pensionamento avvenuto nel 2009 per non lasciare incompiuta la ricerca e per non disperdere la mole di informazioni raccolte. Nel frattempo mi sono interessato di ballo antico,di poesia, di storia locale, di paesaggio agrario, ho collaborato con l’Istituto Alcide Cervi, ho scritto alcuni libri di fiaba e sulle case rurali oltre una qualche puntatina alla piva; il tutto secondo un percorso che va “Dalla Geologia Alla Fiaba” attraverso la cultura del territorio; tuttora dipingo, organizzo feste, ho cucinato per centinaia di persone ed ho fatto persino attività politica. Voglio ricordare che in provincia di Reggio sono stato il primo a far risuonare la piva a metà degli anni 70, dapprima comperai una zampogna a San Polo Matese, poi una gaita gallega a Barcellona quindi feci ricostruire a Bani una piva sul modello di quella di Ciocaia ed infine ne ho fatto costruire un’altra a Paolo Simonazzi. Devo confessare che non ero capace di suonare e che ho smesso da decenni anche se da qualche tempo mi è tornata la voglia di riprovare. Ho preferito privilegiare la ricerca sulla piva che oggi ritengo in parte conclusa anche se molti problemi restano aperti. La ricerca è indispensabile: il miglior liutaio può tentare di ricostruire la piva più fedele o può fare le ance migliori del mondo, ma se non si conosce la storia dell’oggetto, i suoi esecutori, i loro ambienti, i repertori, ecc. anche la miglior piva resta solo un pezzo di legno che suona.
Dei tempi della ricerca resta il bel ricordo di aver condotto tra gli anni Settanta e Ottanta una immersione nel mondo dei vecchi di allora, nei loro ricordi, nei piccoli borghi di sasso nascosti nelle valli dell’Appennino Emiliano, in ambienti che allora apparivano arcaici, in seguito travolti dalla moderna urbanizzazione o da una cosciente operazione di distruzione del passato condotta dalle stanze segrete del Potere. Credo che la difesa di certi valori sia ormai una battaglia persa e le mode passeggere innestate su un malinteso concetto della tradizione hanno reso vana l’idea di “cultura delle classi subalterne” (ops…scusate…si può ancora dire?) alla quale facevamo riferimento. Non è nostalgia ma suggestione ed amore per un mondo che “è stato” e dal quale proveniamo, per una storia che ci riguarda e della quale anch’io ho fatto parte.
Una tua opinione sulla condizione dell’editoria specializzata in Italia, confrontando la situazione di quarant’anni fa, quando nacque “La Piva dal Carner” e quella di oggi.
E’ una domanda che richiederebbe una risposta ben più articolata ma credo che la differenza fondamentale stia da un lato nel passaggio dal ciclostile e dalla distribuzione manuale al computer e diffusione nel web , dall’altro nel passaggio da una maggior dimensione di servizio alla socialità degli avvenimenti e della ricerca ad un uso frenetico per la pubblicità e per le recensioni di CD e quant’altro favorite dall’accesso ad internet in una commistione di world music, jazz, rock, popular, folk, moderna. ecc. La ricerca rimane racchiusa tra le mura delle riviste di emanazione accademica non sempre accessibili anche per motivi di costo.
Come nasceva e come nasce un numero della Pdc , dalla individuazione dei contenuti alla raccolta dei materiali, dall’impaginazione alla stampa? C’è un momento di riflessione collettiva nel quale si confrontano redattori e collaboratori?
Ci sono state varie fasi. I primi 6 numeri come ho detto nella risposta alla 2^ domanda li ho fatti da solo ed in pochi mesi. Dal numero 7 del marzo 1980 collaborarono Riccardo Bertani di Caprara di Campegine (RE) ed il collega Gabriele Ballabeni di Reggiolo (RE) ma il tutto era ancora informale e sempre ridotto a poche copie; i numeri 10 ed 11 sono addirittura introvabili. Poi si inserì il fotografo Claudio Zavaroni (morto nel 1985 nello stadio dell’Heysel in Belgio) che scattò bellissime fotografie per la Pdc diventate poi celebri:Borella, Ferrari, Rovali, la foto della copertina del n.12, ecc. Il n.12 fu il primo ad avere una certa struttura mentre il numero 13 venne usato come invito ad una festa che poi non venne fatta. Dal n. 14/1981 la P.d.C. comincia ad uscire come supplemento al notiziario “Tempo Libero-Arci Uisp” , si arricchisce di varie collaborazioni e viene stampata in un certo numero di copie col ciclostile messo a disposizione da una sede di partito. Dal n. 18/1982 la P.d.C. torna però a pubblicare un numero di pagine sempre più ridotto fino a diventare un foglietto unico e dal n.27/1988 ritorna ad essere la circolare interna fotocopiata in pochissime copie. Da quel numero ha contenuto di tutto, dagli inviti per iniziative alle fiabe, poesie, notizie private,comunicazioni varie, ma anche alcune cose di rilievo. Il problema stava nel conflitto tra la “non più voglia di farla”, dovuta a problemi famigliari, di lavoro e ad altri interessi, ed “il non voler smettere, il non voler interrompere”. Questa situazione, focalizzata nel n.31/1991, si trascinò per 25 anni con l’unico impegno di non dimenticare di fare almeno un foglietto all’anno. L’uso del computer, tardivamente dal n.38/1996, semplificò il tutto . Nel gennaio del 2004 un amico che ricevette la pdc n.59 contenente l’invito per il pranzo di Sant’Antonio si meravigliò che la PdC esistesse ancora: gli risposi che ne usciva un solo foglio all’anno per non interrompere la continuità in previsione del fatto che prima o poi l’avrei rilanciata. Ed il rilancio avvenne nel 2012 con il n. 74 dedicato alle 18 pive emiliane superstiti. Quel numero nacque dalla mia stretta collaborazione con Paolo Simonazzi, Ferdinando Gatti, Franco Calanca e Luca Magnani che costituivano il primo nucleo della nuova redazione e il momento collettivo che ne sancì la nascita venne celebrato il 14 ottobre 2012 con un pranzo alla Casa dei Carpini di Rosano(Vetto d’Enza-RE). Il n.74 uscì come supplemento al notiziario n.3/ottobre 2012 dell’amministrazione comunale di Montecchio. Con la registrazione in tribunale del marzo 2013 è stata avviata una regolare diffusione trimestrale che conserva un piccola quota di cartaceo; la redazione è stata ampliata a 16 elementi e richiama la memoria degli scomparsi Ballabeni e Zavaroni. I materiali della Pdc si vanno per ora stabilizzando in 5 sezioni e la loro scelta deriva dall’intreccio offerta/richiesta da parte di collaboratori, di membri della redazione e mia. Nella Tribuna confluiscono soprattutto i materiali riguardanti questioni metodologiche e critiche e la richiesta di intervento avviene da parte mia o su sollecito di alcuni membri della redazione. La sezione sulla Piva è curata da me. I Contributi raccolgono una miscellanea di articoli pervenuti su argomenti diversi. Gli Avvistamenti sono curati da Giancorrado Barozzi. Il racconto quando c’è serve per dare una pennellata di fantasia all’impianto generale.
Un momento collettivo di riflessione per ora non è fattibile ma sto pensando ad una soluzione informatica per creare qualcosa di simile. Di certo esistono scambi frequenti coi vari redattori e collaboratori (sparsi in tutte le regioni d’Italia) da cui scaturisce una bozza di Sommario (sto preparando per aprile quello del 5° numero) che viene inviato alla redazione che spesso avanza delle osservazioni ed ulteriori proposte. Infine, prima del lancio, la bozza finale della PdC viene inviata ai membri della redazione per ulteriori osservazioni ed approvazione definitiva.
francesco dice
ottimo Bruno