CORPI ESTRANEI – VOL. 1° (HELIKONIA, 2014)
Riappare sulla scena della discografia italiana, dopo un’assenza lunghissima, Stelio Gicca-Palli, uno dei protagonisti del mitico Folkstudio di Roma, ultimi anni Sessanta e primi Settanta, coautore, con il sottoscritto, della famosa Lella, prototipo ai tempi di una nuova canzone popolare, e con Lella vincitore (sempre con il sottoscritto) del settore Giovani del Cantagiro-Cantamondo nel 1971. La nostra datata amicizia mi consente di usare le domande di questa intervista come un affettuoso bisturi nella delicata materia dei fatti suoi. Procedo.
E – Caro Stelio, bentornato sul pianeta Musica. Cos’hai fatto di bello in questi ultimi quarant’anni?
S – Ho fatto l’avvocato. Mestiere che alcuni definiscono disutile e parassitario. Ho cercato di farlo nel modo meno parassitario possibile e spero di esserci riuscito. A me ha anche dato notevoli soddisfazioni.
E – Quando frequentavi quasi quotidianamente il polveroso palco del Folkstudio, ancora il primo e più glorioso, quello storico di Via Garibaldi, hai avuto la possibilità di conoscere da vicino alcuni monumenti della musica popolare italiana. Mi riferisco, tra gli altri, a Rosa Balistreri, Caterina Bueno, Giovanna Marini, Matteo Salvatore, Otello Profazio. Quanto, queste conoscenze, hanno influito sulla composizione dell’album del 1972 Il Paese dove nascono i limoni? E quanto, di quelle illustri frequentazioni, rimane in questo nuovissimo Corpi estranei – vol 1°?
S – Veramente i monumenti cui ti riferisci li avevo conosciuti prima di cominciare a calcare il palco (palchetto) del Folkstudio. Nel 1966 a Ponza avevo conosciuto una banda di artisti venuti fuori dal famoso Ci ragiono e canto di Dario Fo. Con loro mi ero avvicinato alla musica popolare tradizionale. E andavo spesso a Milano a trovarli. Se ben ricordi, le prime cose che facevamo insieme erano proprio alcune canzoni antiche che mi aveva insegnato non mi ricordo se Giovanna Marini oppure Leoncarlo Settimelli: Lauretta gelosa, Il ridente Maggio, Coraggio ben mio. In effetti, però, nella composizione dell’album del 1972 l’influenza veniva da cantautori milanesi, popolari, ma non della tradizione. Mi riferisco soprattutto a Paolo Ciarchi e a Ivan della Mea. Per dirne una: El me gatt di Ivan è una canzone in dialetto milanese che racconta di un fattaccio. Hai presente Lella?
A occhio e croce, anche questo nuovo album risente di quelle frequentazioni.
E – L’ascolto, attento, del tuo nuovo album, lascia ben immaginare una galleria di quadri sentimentali e rapporti sempre un poco sofferenti, scontenti, o mai perfettamente equilibrati. Quanto di direttamente personale si rivela nella trama delle canzoni ?
S – Avendo avuto varie relazioni di coppia , alcuni matrimoniali ed altre no, che, in quanto essendo alcune e non una, sono iniziate e poi finite, forse qualche esperienza di rapporti non equilibrati ce l’ho. Tu che dici ?
Molte cose, però derivano anche dall’aver osservato gli altri. Bastano amici e conoscenti. Un bestiario vario e molto interessante.
E – Trovo meraviglioso il brano di apertura, Piazza di Spagna alle quattro. Trovo sia una splendida quanto amara dedica d’amore alla nostra città, forse troppo cambiata, e non in meglio. Mi consenti di paragonare la tua bella canzone al film di Sorrentino La grande bellezza? Trovi anche tu ci sia una radice comune?
S – Piazza di Spagna è stata pensata più di un anno prima de La grande Bellezza. E’ stata completata proprio a ridosso dell’uscita del film. Che mi è piaciuto. Certamente c’è una radice comune. Basta bazzicare Roma e aver qualcosa a che fare con il cosiddetto Generone romano.
E – Il protagonista maschile delle tue nuove canzoni mostra sempre un’aria un po’ disincantata, ruvida, quasi scontrosa, ma a ben guardare, nelle pieghe del tessuto, ad esempio nella bella Posto, una delle mie preferite, sono quasi celati, quasi non detti, uno slancio sentimentale forte, incondizionato.
Anche il carattere dell’autore è questo? L’immediatezza dei sentimenti viene coperta dal pesante panno del disincanto?
S – Io non lo confesserei neanche al confessore, che non ho, ma debbo dire che tutte le fanciulle con cui ho avuto a che fare (e le fanciulle pare abbiano una sensibilità più profonda dei maschietti) mi dicono che io non mi lascio mai andare e che trattengo i miei sentimenti. E che così facendo alla fine mi verrà l’ulcera. Se lo dicono tutte loro deve essere vero.
E – Ai tempi del Folkstudio il tuo strumento di riferimento era la chitarra. Oggi, il nuovo disco è quasi interamente appoggiato su sonorità pianistiche. Puoi spiegare i motivi di questa scelta?
S – Da sempre il piano mi è piaciuto di più. Il fatto è che costa di più. Quando ho cominciato a guadagnare con l’avvocatura mi sono comprato un piano e ho cominciato a zapparlo. Piano piano (oddio, l’orrendo gioco di parole) ho imparato a suonicchiarlo. Certamente nella scelta delle melodie e delle armonie il piano aiuta. Almeno per me.
E – Nascosta in mezzo alle canzoni dell’album, c’è anche la nostra Lella. Anche qui il pianoforte è protagonista, e la vena folk della canzone è scivolata in un rag-time dal tono quasi scherzoso.
Profanazione? O pensi che i tuoi ascoltatori possano comprendere e condividere la scelta?
Sai, negli anni in cui sei stato distratto da altre attività, la nostra canzone è diventata un vero e proprio classico…
S – Francamente il tono non mi pare scherzoso. Casomai sarcastico. E poi, fin da subito avevo realizzato che tre ritornelli erano troppi. Ci voleva uno stacco musicale in mezzo. Ed è venuto fuori questa specie di rag-time.
E – Infine il titolo, Corpi estranei – vol. 1°, vuole alludere alla preparazione di un secondo volume?
Ci sono anticipazioni? Vuoi preannunciare qualche prossima novità, magari qualche importante live di presentazione?
S – Sì. Ci sarà un secondo volume. Ancora più incline a dire cose un po’ scorrette. Io ho in odio le cose corrette. Leggevo Harakiri e Il Male molto prima dell’uscita di Charlie Hebdo. L’album è in gestazione. Lunga gestazione, specialmente per quanto riguarda i testi. Incontro una difficoltà notevole a scrivere le idee che mi vengono alla mente adattandole alla ritmica moderna. In Italiano, rigorosamente. E col fatto che le parole italiane in genere sono ad accentazione piana, dopo avere detto città, sarà, dirò e farò, su e giù, blu e più, così e qui, comincio ad andare in confusione. A meno di non ricorrere a testi che abbiano poco senso narrativo, ma che si accordino con la musica. Testi che, poi, fanno anche molto linguaggio innovativo. E’ un vecchio trucco. A me non va di usarlo. Piuttosto il dialetto, con le sue tronche, può essere utile.
Comunque conto di fare effettivamente qualche presentazione dal vivo. Non fosse altro che per vedere come funzionano, prima di entrare in sala di registrazione.
E – Bene. In attesa che l’ex avvocato Gicca-Palli ci mostri la sua acquisita abilità pianistica, e ci faccia godere delle esecuzioni dal vivo delle sue nuove canzoni, continueremo ad aggirarci nelle strade maestre, nei sentieri e nei vicoli di questo album, pieno di poesia della vita quotidiana. Come in tutte le opere ricche di significato, ogni ascolto vale più del precedente. Così possiamo apprezzare, e darne nota, il pianoforte di Primiano Di Biase, le ritmiche di Cristiano Micalizzi e Simone Talone, il basso di Marco Siniscalco, le chitarre di Fabrizio Guarino, che ha firmato con Stelio gli arrangiamenti, e la voce, caratteristica e sempre presente, di Daniela Iezzi. Siamo pronti ad acquistare anche il volume 2°…
Lascia un commento