Mentre sono in corso di svolgimento le selezioni per il concorso Suonare@Folkest – Premio Alberto Cesa per il 2015, pubblichiamo una bella intervista realizzata dal nostro direttore alla vincitrice della fase nazionale di Suonare@Folkest, tenutasi al Teatro Miotto di Spilimbergo nel maggio del 2014, condotta magistralmente da Gianmaurizio Foderaro allora di Radio1 RAI, e poi ritrasmessa raiofonicamente nel mese di giugno dello stesso anno.
Come siete venuti a conoscenza del concorso “Suonare@Folkest” e per quale motivo, principalmente, avete deciso di partecipare?
Ho conosciuto il concorso in occasione del Premio Parodi che si svolge in Sardegna da alcuni anni. La decisione di partecipare è nata sul finire della scorsa stagione estiva. Un po’ di amarezza aveva accompagnato la conclusione dei nostri concerti nell’isola. La consapevolezza che il genere musicale che ho scelto è poco radicato mi ha spinto a cercare un confronto serio oltremare. Anche perché i riscontri positivi avuti dal pubblico nei live fuori dalla Sardegna mi dava la conferma che il nostro progetto poteva continuare. In definitiva avevo bisogno di un confronto senza pregiudizi, in un ambiente aperto alla musica.
Parliamo di voi e della vostra musica: presentatevi specificando i singoli strumenti, il genere, perché lo avete scelto, da cosa traete ispirazione?
Non sono mai stata brava a copiare sin dai tempi della scuola. E dunque con estrema sincerità e umiltà non ho un modello. Per tanti anni ho condotto una trasmissione televisiva in Sardegna che si occupa di musica sarda e danze folk. Ho visto e ascoltato tutto e tutti. Al di là dell’apprezzamento dei grandi artisti che abbiamo nell’isola, il più grande insegnamento che ho tratto da questa esperienza è stato prendere coscienza di ciò che non avrei mai voluto fare, né emulare. Cinque anni fa ho preso coraggio e ho investito tutta me stessa nella musica: Sono andata a Milano da Pino Martini, un musicista sardo tra i pochi che ha creduto in me e nella possibilità che io facessi la cantante di professione; Abbiamo iniziato a lavorare con altri due autori e arrangiatori, Roberto Scala e Giorgio Rizzi, e in due anni è nato il mio primo disco e il Tour Muriga. Mi sono staccata dall’isola volontariamente per non essere condizionata in nessun modo. Sapevo solo che la lingua dalla quale volevo partire era il sardo, perché dentro quelle sonorità mi sentivo più vera e capace di esprimere i miei sentimenti. Da allora sono trascorsi un pò di anni e il nostro progetto si è evoluto. La world music è l’ambiente sonoro nel quale sperimentiamo il nostro meticciato musicale. Il punto di partenza è l’isola dalle tante contraddizioni, e ispirazioni. Non è l’isola del folk, ma quella che vorrei senza più muretti a secco. Quella che non cerca a tutti i costi l’indipendenza, ma integra le proprie specificità con il resto del mondo. Una terra che dialoga con il diverso pur nella consapevolezza delle sue ricchezze primordiali. Muriga, perché nessuno si senta d’avanzo significa “Mescola” senza paura delle differenze, mischiati a loro per ritrovare qualcosa di te che era nascosto. Da qui il naturale passaggio all’uso di altre lingue minoritarie e la ricerca di integrare sonorità del mediterraneo e non solo. Facciamo suonare il bouzouki con trunfe e benas, il basso elettrico con la tammorra, la fisarmonica con le percussioni africane.
Da dove venite e com’è, dalle vostre parti, la situazione della musica dal vivo?
Io sono a nata a Roma, da padre sardo e madre nata in Asmara da genitori catanesi. La contaminazione parte dalle mie origini familiari. Ora vivo tra Cagliari e Varese. Anche i miei compagni di viaggio sono un bel mix: Roberto Scala un pugliese che vive a Varese; Giorgio Rizzi un milanese doc; Federico Valenti, un laziale trapiantato in Sardegna! La musica dal vivo in Sardegna vive la crisi generale come nel resto d’Italia. Ci sono tanti musicisti seri e preparati e molti progetti originali, ma le difficoltà ad essere musicisti di professione e non dopolavoristi sono tante. I live si sono ridotti vertiginosamente in numero e qualità da due anni a queste parti. La necessità di ridurre i costi sta modificando l’assetto generale delle band. Sempre di più si scelgono le vie delle piccole cover band da locale e alberghi. Malgrado ciò l’entusiasmo non manca. Ci sono spazi suggestivi che aspettano la musica. Sopravvivono alcuni grandi eventi di qualità con ospiti internazionali. Mentre le feste paesane prediligono concerti pop di grido del momento, per i quali si spendono grandi cifre, e poi si risparmia sulle proposte locali scegliendo spettacoli di tono minore e di dubbia qualità.
Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale e il territorio di provenienza?
Ho ascoltato musica sarda da quando sono nata, “costretta” da mio padre che nei viaggi in auto mi faceva sentire solo gare a chitarra e poesia d’improvvisazione! Quella che sembrava una forzatura si è rivelata nel tempo una passione e una predilezione per le sonorità delle lingue. Sia nella mia esperienza teatrale, che nei miei studi universitari ho coltivato questo studio che poi è diventato la base del mio lavoro. Ho un grande rispetto della musica tradizionale e grande curiosità nei confronti di chi la pratica e degli ambienti nei quali ancora oggi si pratica. Da due anni sono iscritta in Etnomusicologia al conservatorio di Cagliari perché ho sentito l’esigenza di approfondire oltre che la parte musicale anche quella socio – antropologica di questo mondo, che poi è il mondo della musica in genere nel quale le etichette diventano sempre più costrizioni commerciali.
Torniamo a “Suonare@Folkest” : come vi siete trovati, cosa ricordate soprattutto di quella serata?
Come speravo il concorso è stato un modo per confrontarmi con una giuria di qualità che potesse sostenere il mio percorso. Naturalmente speravo in un riscontro positivo, ma ero pronta anche alle critiche eventuali. Il nostro primo premio mi ha dato un grande incoraggiamento, perché come ho detto anche durante la serata conclusiva, è un momento davvero difficile per vivere di musica. E la tentazione di mollare ti accompagna costantemente… Io credo molto nel mio lavoro e nelle persone che suonano con me, ma sono anche consapevole che ci sono tante variabili che devono coincidere per far funzionare le cose. Comunque sia non voglio mollare e ho tanti progetti per la testa. Il mio ricordo più significativo è la puntualità e precisione con la quale sono intervenuti i giurati. Hanno capito esattamente i miei punti di forza e di debolezza stimolando la mia riflessione. In particolare ho avuto un riscontro su quello che è un pò il mio cruccio attuale nell’affrontare il nuovo disco: cioè la difficoltà di incidere un disco che rispecchi veramente chi sei nel live. Dunque non perdere nell’incisione la forza espressiva del palcoscenico. Siccome questo gap si sente tanto tra il mio primo lavoro discografico e la mia proposta live di oggi, è un nodo importante su cui stiamo lavorando nella realizzazione del secondo disco.
Lascia un commento