Sei album alle spalle non son pochi, soprattutto se si è altrettanto radicati in un contesto territoriale e politico ben preciso. Una scelta artistica che inevitabilment risente di tutta una serie di più o meno illustri precedenti, da Eugenio Bennato agli Zezi di Pomigliano.Arco, fino ai vari, Daniele Sepe, Bisca, 99Posse. Un approccio così dichiaratamente politico potrebbe sembrare forse un po’ fuori moda, ma la forza di questi musicisti è proprio di fregarsene delle mode e di tirar dritto senza compromessi, esponendosi pure, di tanto in tanto, alle contumelie dei puristi o, forsanche in certi momenti, di chi li vorrebbe forse ancor apiù “avanti”.
Guidati da Benedetto vecchio, carismatico leader della formazione, sono partiti nella loro ricerca dagli strumenti degli zampognari del Basso Lazio (segnatamente la ciaramella alla quale vengono assegnate le parti maggiormente virtuosistiche e la zampogna melodica in sol, capace di elaborare melodie e cromatismi, oltre a fornire l’accompagnamento) mescolandoli a quelli appartenenti ad altre espressioni culturali vicine come l’organetto, il tamburello, la chitarra battente, la fisarmonica, il mandolino, la tammora, non negandosi a suggestioni pop e rock, introducendo nella formazione il basso e la chitarra elettrici, la batteria e il sintetizzatore. Il suono della chitarra classica, del contrabbasso, del violino, della viola, del flauto traverso, delle percussioni hanno aperto la porta alla contaminazione dei generi musicali, facendo entrare il respiro delle melodie celtiche o i ritmi incalzanti del funky, introducendo il soffio della gaita galiziana e dei whistles.
Si canta il passato, briganti e brigantesse sfregiate dalle smargiassate dei boia risorgimentali, un passato che diventa metafora per mettere in luci il disagio popolare e particolarmente giovanile nelle aree più marginali della Penisola.
Un disco “storico”, con una grande forza presente!
Felice Colussi