Che Saba Anglana sia un’artista che a me piace molto non è un segreto: ammiro il suo fervore, la sua pulizia, i suoi concerti giocati sul filo dell’emozione. Una sua performance a Pordenone è sicuramente uno dei miei ricordi più belli delle ultime edizioni di Folkest.
Quest’ultimo lavoro rappresenta, a mio avviso, un ulteriore e importante passo avanti nel suo percorso musicale. Innanzitutto il video che ha fatto da trailer al disco: girato ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, nel ventre della città, “Ye Kamata Hod” come recita il titolo dell’album, è un grido di guerra, “zarraf” nella tradizione etiopica, una chiamata collettiva a difendere qualcosa, un grido di riscatto, la fiamma che porta in corpo chi non si arrende, il fuoco impersonato dal grande danzatore Melaku Belay, un tempo bambino di strada, che ora è diventato un artista amato e di grande successo. L’intero album è cantato in Amarico, l’affascinante lingua etiope e in Somalo, con solo un pezzo in inglese.
Stilemi della musica tradizionale etiope sono presenti con la loro scala pentatonica, mescolati alla fisarmonica, ma anche con strumenti più moderni. La difficoltà, ammetta la stessa Saba, è trovare in Italia musicisti con i quale condividere la musica del Corno d’Africa. “In genere gli italiani credono che l’Africa si fermi al Senegal e al Mali, all’Africa occidentale. – ha recentemente affermato Saba nel corso di un’intervista – È molto raro trovare persone che conoscono la musica del Corno d’Africa. In Italia è difficile, musicisti etiopi ne ho trovati, che hanno collaborato con me. All’estero c’è più interesse, anche per la tecnica. Per esempio, i giornalisti italiani mi fanno sempre domande biografiche, mentre all’estero mi chiedono cose tecniche, più specifiche.”
Accanto all’ormai “storico” compagna d’avventura Fabio Barovero, autore insieme a Saba Anglana delle linee musicale, alla fisarmonica e al piano, troviamo in questo disco Federico Marchesano al contrabbasso, Mattia Barbieri alla batteria, Simone Rossetti Bazzarro al violino e alla viola, Fasika Hailu al Krar, Asrat Bosena al Masingo, Cristian Coccia alla chitarra. Un un album vitale e appassionato: “Tizita”, la memoria, “Tariken” (la mia storia), Markaan Yara (Quando ero piccola) sono come un forte vento di memoria e energia che sorprende, rimbalza addosso e travolge l’ascoltatore.
La voce è poi un altro punto a fovore di questo lavoro: in primo luogo Mahmoud Ahmed, famoso settantaquattrenne cantante etiope e una splendente Aster Aweke. Saba fa sue tutte queste influenze, con grande maturità, sempre più alla ricerca di uno stile assolutamente personale.
“Una delle cose che vorrei far conoscere in Italia – chiosa Saba in un’altra intervista – sono gli Azmari, i cantastorie (forse qualcuno ricorderà due di loro qualche anno addietro a Folkest e al Ravenna Festival – ndr) L’Italia dimentica spesso il suo legame con il Corno D’Africa, ha dimenticato la storia… In molti non sanno neanche dove sia l’Etiopia! Molti cantastorie hanno scritto canzoni sugli italiani, ovviamente provocatorie. L’Italia fa parte della storia dell’Etiopia come l’Etiopia fa parte della storia d’Italia”.
Grazie Saba, la memoria dell’Italia passa anche dal Corno d’Africa.
Andrea Del Favero