Questo disco del gruppo Rataplam (che in realtà è un’entita magmatica che opera su vari settori, dalla ricerca sul campo, alla riproposta negli spettacoli, alla didattica) è principalmente dedicato ai repertori musicali del paese di Gandino. E si tratta in primo luogo delle “Sonate d’allegrezza”. Questo repertorio divenne un autentico caso etnomusicologico e molto fece parlare di sè negli anni Ottanta del ventesimo secolo quando queste sonate vennero portate a conoscenza degli esperti attraverso alcune pubblicazioni e il lavoro di gruppi musicali come i Magam.
Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere a primo acchito, non si tratta di piccole campane, ma di una sorta di xilofono popolare. Mi si passi il termine, che facilita la comprensione a un pubblico più vasto, anche se sarebbe più corretto parlare di “vetrofono”, visto che le barrette sono costituite da pezzi di vetro oportunamente intonate. Una prassi in uso in molte zone, fino alla lontana Ungheria, ma sopravvissuta in modo organico nella bergamasca, soprattutto perché utilizzate dai campanari come strumento di strudio e d’allenamento.
Scorrendo i titoli notiamo già alcuni particolari significativi, come l’iniziale “Tarantella n.1”, sonata per cinque campane in 6/8, che è stata ricavata da un documento della fine dell’Ottocento, riconducibile al repertorio delle chiese sussidiarie di Gandino.
C’è poi una lunga serie di brani come: “Marcia a 4 mani”, sonata per dieci campane in 6/8, “Valzerù”, sonata per dieci campane in 3/4, “Ninì de pendole”, sonata per otto campane in 6/8, “Mazurca 10”, sonata per campanine, “Polka 23”, sonata per otto campane in 2/4, “Tarantella Gandinese n. 48”, sonate per dieci campane in 6/8) e “via campanando…”.
Si tratta delle cosiddette “Sonate d’allegrezza”, che vengono suonate anche sulle campane dei campanili e hanno un andamento spesso sognante, trasfigurando un po’ l’utilizzo di puro richiamo rappresentato da un uso semplificato dele campane stesse. Una prassi, questa dell’esecuzione di musiche popolari, molto presente nell’intero Arco Alpino Centro-Orientale, che trova nella Bergamasca il punto di maggior diffusione di una pratica più evoluta, anche mediante l’uso di tastiere meccaniche di comando. Nelle campane a sistema veronese, invece, così come nel Cadore o in Friuli si lavora con le campane e i batacchi azionati con le corde, laddove non siano state sciaguratamente elettrificate.
Splendido, quindi, il lavoro dei Rataplam nel documentare e riportare su disco questo tipo di prassi esecutive, ben sostenute da tutta una serie di altri strumenti, con un occhio di riguardo anche al’altra grande evidenza dello strumentario della tradizione rappresentata dal baghèt, che con questa definizione è propriamente la cornamusa bergamasca, ritrovata e riportata in funzione grazie all’appasionato lavoro di Walter Biella negli anni Ottanta.
E non vi venga in mente di pensare che gli altri strumenti o le voci siano di puro contorno.
Questo è un lavoro a tutto tondo, fatto con amore, passione e competenza.
La penisola italiana è ricca di straordinari tesori musicali come questi, che meriterebbero di essere ulteriormente indagati e messi nella giusta evidenza grazie a lavori come questi.
Un gran bel disco per un progetto d’intervento culturale molto più complesso e articolato sul quale avremo modo di ritornare.
Andrea Del Favero