Non mancano ormai, si trovano in rete, anche studi e ricerche che raccontano come la musica dei Sigur Ros – un gruppo musicale islandese che rifugge ad ogni etichetta e che è nato nel 1994 – abbia uno stretto legame con l’Islanda, con il suo paesaggio, con la sua lingua e la sua identità. Che vogliono dimostrare che la loro produzione è talmente permeata da un senso identitario tanto da poterne giustificare l’accostamento alla “musica popolare”. E vengono presentate, a testimonianza di questo “nazionalismo musicale”, le immagini del bellissimo DVD “Heima” (2007) con concerti e paesaggi che sembrano mescolarsi e far parte di una colonna sonora di un modo di essere e di vivere in Islanda. E a questa “testimonianza” può anche aggiungersi l’ancora più entusiasmante, perché inaspettata e recentissima, produzione del gruppo: un viaggio di 24 ore intorno all’Islanda trasmesso sulla televisione nazionale islandese accompagnato da una colonna sonora basata su variazioni di un loro brano musicale “óveður” (può esser visionata, in 4 gruppi di circa otto ore, anche su You Tube).
Tuttavia non mi nasconderò dietro questi “studi” – non troppo convincenti, in realtà – per giustificare un articolo che parli di Sigur Ros in un contesto informativo dedicato al mondo tradizionale. In realtà ho conosciuto il gruppo proprio partendo dal mio peregrinare attraverso le tradizioni nordico-scandinave (svedesi, ma anche finlandesi, danesi, norvegesi e islandesi) nella rivista FolkBulletin o nel sito “Tradizioni al Nord”. Più ci si avvicina a questi mondi, più si metto a fuoco le qualità musicali di quel mondo nordico-scandinavo più si rilevano molte altre realtà musicali – jazz, pop, classica, … – assolutamente ricche di spessore e innovatività.
Un po’ come i Sigur Ros, un gruppo che, come già detto, sfugge ad ogni etichetta (pop? post rock? progressive? ambient?) sia per la specificità dei loro paesaggi sonori sia per l’evoluzione che i loro suoni hanno avuto dal 1994 ad oggi.
Ho avuto anche la fortuna di poterli ascoltare più volte dal vivo e, in questo caso, solo qualche settimana fa nel concerto (9 luglio 2016) che hanno fatto all’interno del ricco ed estremamente variegato menù musicale del “I-DAYS FESTIVAL 2016”, un festival durato tre giorni (8-10 luglio, quattro palchi e cinquanta ore di musica) nella cornice del Parco di Monza (MI).
E perché mi trovo oggi, in questo virtuale spazio dedicato ad un mondo musicale diverso, a confessare questa passione e a parlare di un concerto passato?
In parte a raccontare una piccola delusione, forse alimentata da aspettative eccessive.
Un delusione dovuta non tanto al concerto che ero consapevole avrei vissuto, con la costante presenza in scena di Jónsi Birgisson, Georg Hólm e Orri Páll Dýrason, con la diminuzione delle atmosfere rarefatte che avevo piacevolmente scoperto nei primi dischi, con quel suono più ritmico, più rock quasi a volersi adattare alle etichette più recenti assegnate da critici imberbi.
Una delusione che nasce invece da una, spero estemporanea, riduzione della ricchezza dei colori musicali che li caratterizza (dal fruscio al temporale, dal pianissimo al fortissimo) e che ora sembra veleggiare, almeno nella versione live, per lo più verso mari in costante tempesta. Con il rischio, nella riduzione dei colori timbrici utilizzati, di sembrare ripetitivi. Qualche brano comincia ad assomigliare a qualche altro brano. Qualche assolo a qualche altro assolo. Una sensazione assolutamente mai vissuta, fino ad oggi, nei loro concerti e dischi. In alcuni momenti mi è quasi parso che gli aspetti scenografici e i video, anche questi inconfondibili e imperdibili, diventassero l’elemento più rilevante.
Tuttavia è bastato poco ad asciugare le lacrime della mia critica.
A fine concerto sono passato per un altro palco del festival e ho ascoltato distrattamente un altro interessante gruppo di cui non conoscevo il nome ma con un sound che assomigliava a quello di tanti altri gruppi.
No, i Sigur Ros no. Loro assomigliano ancora solo a loro stessi. Pur vantando diverse imitazioni lontane. E questa è la qualità degli artisti che riescono a piegare la musica alle proprie idee.
Tiziano Menduto
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