Dal 15 al 17 luglio si è svolto, nella suggestiva cornice del Castello Visconteo di Pagazzano, in provincia di Bergamo, il Festival Celtico organizzato della benemerita Geomusic di Gigi Bresciani, promoter ormai da decenni sulla breccia e infaticabile artefice, soprattutto nell’area bergamasca, ma non solo, di eventi grandi e piccoli, ma sempre di qualità.
La rassegna si pone in linea di continuità con le memorabili edizioni del Festival Interceltico, prima di Trezzo sull’Adda, poi di Brignano Gera d’Adda: certo i nomi proposti non sono altisonanti come quelli del passato (Fairport, Albion Band, Lunasa, Dervish, Tannahill Weavers, Skolvan, Kila, Altan, solo per citarne alcuni), ma la scelta, oltre a comprensibili ragioni economiche, crediamo sia anche dovuta al desiderio di offrire al pubblico italiano un primo assaggio di ciò che di nuovo si muove (e soprattutto si suona) sotto il cielo d’Irlanda.
Hanno aperto la prima serata del festival i Connla, cinque musicisti originari di Armagh e Derry, nell’Irlanda del Nord, che hanno esordito nel 2015 con un EP di quattro brani (di cui due strumentali a base di pipes e flauto), molto ben accolto dalla stampa specializzata, e lo hanno fatto di recente seguire dall’album “River Waiting”. Il gruppo ha fornito un’eccellente prestazione, proponendo una scaletta in cui brani vocali e strumentali si alternavano sapientemente, evitando super tecnicismi a beneficio di un sound compatto e mai stucchevole e fine a se stesso. Dal punto di vista individuale segnaleremmo l’ottima vocalità di Ciara Carlin, la dolcezza dell’arpa di Emer Mallon e il virtuosismo chitarristico, ma sempre al servizio del collettivo, di Paul Starrett, ben evidenziato nello strumentale For Doc (a completare la line-up Ciaran Carlin, flauto e whistles, e Conor Mallon, uillean pipes e whistles). Fra gli altri strumentali una menzione d’onore a Father Ferguson’s, tratto dall’EP di esordio, e all’evocativa The Enchanted, mentre fra gli altri brani ci sono piaciuti Garden Valley, anch’esso presente sull’EP, The Boatman, cover tratta da “North”, il primo album solista di Mary Dillon, cantante dei Deanta, e ancora Saints and Sinners e River Waiting, la title-track del loro album, che nella sua complessità illustra bene la diversa estrazione dei componenti del gruppo (folk, jazz, classica…).
Forse meno raffinati, ma con un pizzico di aggressività in più, i Réalta, protagonisti della seconda serata del festival, da alcuni critici considerati gli eredi della Bothy Band e vincitori del ‘Danny Kyle Award’ al Celtic Connections di Glasgow. Ancora terzetto (Conor Lamb, uilleann pipes, whistles e piano, Aaron O’Hagan, uilleann pipes, whistles e flauto, e Deirdre Galway, chitarra, canto e piano) nel 2012, al momento della pubblicazione del loro debutto “Open the Door for Three”, hanno in seguito allargato il proprio organico e inciso il loro secondo lavoro, “Clear Skies” del 2016, come quintetto, con l’aggiunta di Dermot Moynagh, bodhrán e percussioni, e soprattutto di Dermot Mulholland, bouzouki, contrabbasso, canto, banjo, che hanno fatto guadagnare alla band in incisività e originalità. I Réalta hanno presentato un concerto in larga parte basato su brani strumentali, eseguiti con grintosa bravura, con percussioni e bozouki, o in alternativa il banjo, a dettare il ritmo. Molto interessanti e coinvolgenti ci sono apparsi il medley Patsy Touehy’s/The Exile’s jig/The Yellow Stocking, la celebre Tabhair Dom De Lámh (Give Me Your Hand), composta nel XVII secolo dall’arpista cieco Ó Catháin e già proposta da Planxty, Chieftains e innumerevoli altri gruppi irlandesi, le Asturian Tunes tratte dal repertorio di Llan de Cubel, i duetti alle uillean pipes di Conor Lamb e Aaron O’Hagan, e il trascinante set di reels che ha concluso il concerto. Non sono mancate comunque le songs, come i due brani a tema “matrimoniale, di cui il primo termina con un “no” (visto lo stato di ebbrezza del pretendente) e il secondo con un “sì” (alla prospettiva di abitare nell’affascinante località irlandese di Ballybogey, dove gli uccelli con il loro canto nella sera accompagneranno la fanciulla a un dolce sonno): Siobhán Ní Dhuibhi, la Susy McGuire che apriva “Chemins de terre” di Alan Stivell, e Kellswaterside, un brano ritrovato dalla cantante nella Contea di Antrim; divertente e scanzonata The Longford Weaver a proposito dei pericoli di donne e whyskey, toccante, con un suggestivo accompagnamento al pianoforte di Deirdre Galway, la malinconica Máire Iní Mhic Ailpín.
Due ottime band che dimostrano il buon stato di salute della scena irlandese, più “conservativi” nel repertorio i Réalta, che attingono quasi interamente al patrimonio musicale tradizionale, più “innovativi” i Connla, che prediligono invece brani di composizione.
A chiudere la seconda serata il poco più che ventenne Blair Dunlop, figlio del grande Ashley Hutchings, che in un breve set acustico, accompagnandosi solo con la chitarra, ha presentato il suo terzo album, dal titolo “Gilded”, registrato in presa diretta in uno studio di Manchester. Siamo quindi in presenza di un cantautore, che, non negando le sue radici folk, si muove in ambiti diversi, più vicini al folk americano degli anni ’60 (ci è venuto in mente, pur nelle invitabili differenze, lo sfortunato Phil Ochs). I testi oscillano fra intimismo (per es. Castello, che è proprio quello di Pagazzano, o She Won’t Cry For Me) e impegno, come in Eternal Optimist, uno sguardo critico sul mondo digitale, o First World Problem, una riflessione sul destino del mondo occidentale e sulla sua mancanza di veri valori. Ottimo chitarrista, in grado di tener il palco anche in perfetta solitudine, ci è apparso forse ancora acerbo nella vocalità, un po’ monocorde e non molto modulata, comunque un artista in evoluzione, certamente da tenere d’occhio nelle prossime prove, che pensiamo non deluderanno il già cospicuo numero dei suoi supporter fra critica e pubblico.
Il festival ha poi vissuto una coda a carattere gastronomico-culturale domenica 17 con il mercato dei prodotti di una cascina del territorio, la Cascina Pelesa, dove Ermanno Olmi girò il suo capolavoro, “L’albero degli zoccoli”, visite guidate al castello, pranzo nella corte o sotto i portici del castello e altro.
Paolo Zara
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