Gruppo ormai storico della scena musicale polacca, questo trio fondato nell’anno 2000 e recentemente riunito, dopo un’interruzione di sette anni, propone musiche della tradizione polacca e di altri Paesi limitrofi usando rigorosamente strumenti acustici, ma non rinunciando a qualche incursione in campo jazz. Questo loro reunion è documentata in questo bel disco registrato dal vivo, non recentissimo, a dir la verità, ma decisamente notevole. Il titolo si riferisce in particolare a quella sorta di etnologo-tuttologo che rispondeva al nome di Oskar Kolberg, una sorta di nume tutelare del XIX secolo per chi in Polonia si sia in seguito interessato di storie, leggende, musica, rituali, favole e giochi. In particolare il Vol. 67 della sua raccolta comprendeva una vasta messe di brani della tradizione orale arrangiati per pianoforte: in questo loro album i Lautari riprendono propio questo materiale, rendendolo con nuovi, dinamici arrangiamenti, dopo essere partiti dalle vecchie composizioni di Kolberg.
Il fiatista Michał Żak, che ricordiamo anche in un’altro fondamentale formazione polacca degli ultimi vent’anni, la Jan Prusinowaski Kompania, e il violinista Maciej Filipczuk hanno registrato questo lavoro nella sala Arthur Rubinstein della Filarmonica di Lódz, insieme con Jacek Hałas al pianoforte preparato e fisarmonica, ai quali si aggiunto, portando il gruppo a un quartetto, Marcin Pospieszalski al contrabbasso.
Da un sound molto cameristico titpico dei loro primi due lavori, i Lautari sono passati a un ibrido che, partendo da quell’affascinante miscela di tradizione e musica colta che è tipica di molti ambienti dell’Est Europa e particolarmente della Polonia, approdi ai lidi di una sperimentazione contemporanea che profume di avanguardia, improvvisazioni, acid-rock. Buona la produzione, così come i suoni, con giusta scelta di laciare il senso del live, compresi applausi e qualche rumorino. Anche per dare l’idea all’ascoltatore che questa è musica viva e non esperimento da laboratorio.
Gianni Giusti
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