Sbarcato in Europa sull’onda lunga della musica degli uomini blu, Oumara Moctar, in arte Bombino non si è più fermato: prima l’album Agadez lo ha portato al successo in Europa, poi l’uscita del successivo Nomad ha fatto schizzare il suo gradimento negli States, folgorando molti appassionati di blues e superando ben presto in scioltezza e piacevolezza i già eccelsi maestri Tinariwen. Dave Longstreth è il produttore del suo terzo, nuovo lavoro discografico, registrato addirittura a Woodstock. Non arricciate subito il naso, perché questo produttore è anche un ottimo musicista, ma di quelli un po’ storti, di quelli che pescano suoni un po’ di qua e un po’ di là, che non hanno paura di mescolare linguaggi quando l’idea artistica di base è ben definita.
Azel è il nome di un piccolo villaggio del Niger, ma anche una parola che in lingua Tamashek che significa proprio ancoraggio e anche nascita e contiene alcuni elementi tipici del ritorno alle origini, partendo dall’approccio ritmico basato sul colpo doppio delle percussioni e sul battito di mani e proseguendo attraverso alcune soluzioni acustiche molto accattivanti. Qui per la prima volta Bombino lavora in uno studio di registrazione con tutta la sua band, che poi è quella che lo ha accompagnato dal vivo per diversi mesi attraverso l’Europa e gli Stati Uniti, in una interessante dicotomia tra suono elettrico e suono acustico che poi è la stessa che ritroviamo nei suoi concerti, divisi in due parti: la prima acustica con i musicisti seduti e rilassati, e la seconda elettrica, ritmicamente vibrante. Il lavoro di là dal vetro in studio di Longstreth non aggiunge suoni, non stravolge il suono tradizionale di Bombino. Un disco danzante, che ondeggia sinuosi tra blues del deserto, reggae, spruzzate caraibiche: una bella conferma da parte di questo musicista tuareg!
Gianni Giusti
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