Ecco. C’è un sottile ma inossidabile filo diretto che lega la musica di Nando Brusco con il passato più ancestrale: sono gli strumenti che ha scelto per trasmettere le sue storie a chi le ascolta e di conseguenza dare loro la possibilità di passare da persona a persona da perpetuarsi così potenzialmente all’infinito. Sono gli strumenti che l’uomo probabilmente ha usato per primi, sono una voce e una percussione, il tamburo a cornice circolare con sonagli.
Nando Brusco è un cantastorie, come quelli che giravano in lungo ed in largo le piazze delle città e le piazzette delle contrade portando novità del “mondo”, raccontando storie tramandate e aggiornate ed anche facendo felici i più piccoli con filastrocche e ninne nanne.
Questo disco, è bellissimo. Di una semplicità assordante e di una ricchezza inestimabile, dove la musica nella sua semplicità penetra come uno stiletto nella mente e riporta in un baleno ognuno nel proprio passato ed in quello della storia del nostro Belpaese.
Sette brani e mi permetto di segnalare, al di là della tecnica sopraffina che permette di colorare, accompagnare e ritmare i racconti, “A Fragalà” – toccante doveroso ricordo della dimenticata strage di Melissa del 1949 dove le forze dell’ordine uccisero Francesco Nigro, Giovanni Zito e Angelina Mauro che chiedevano solamente di poter lavorare la terra dei latifondisti –, “Punente e l’Isca” che ci narra delle capacità di “leggere” il tempo dei pescatori di Amantea o ancora “Sona Tamburo”, quasi un canto sciamanico che implora il tamburo di raccontare, di evocare storie antiche e di farlo attraverso il canto.
teatro.proskenion.eu
di Alessandro Nobis
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