Non conosciuta in Europa come dovrebbe, Patty Larkin si presenta sul mercato con una nuova etichetta, la gloriosa Vanguard, ma soprattutto con un disco dal vivo che è pulsante e trascinante come veramente pochi lo sono.
Cresciuta a Milwaukee, Wisconsin, prima di intraprendere la carriera solistica ha iniziato a farsi le ossa e la voce nelle stazioni dei metro (il suo primo album live “Live in Square” è un delicato omaggio al suo passato busker) e in gruppi tra i più disparati, dal rock alla musica celtica, dalla jug band al folk, assimilando così diversi stilemi che l’hanno portata a presentarsi al pubblico con un sound nuovo e inconfondibile che riesce a mescolare il folk con ritmi e increspature sonore del rock moderno.
“A’ gogo” è stato registrato dal vivo durante un recente tour negli States e cattura la magia dei suoni della Larkin che da sola e con l’ausilio di una vecchia Martin D-18 e una bellissima Olson Cutway riesce a colpire il cuore degli ascoltatori: particolare cura e attenzione è stata data alla registrazione che cerca di far risaltare l’atmosfera vibrante data dal concerto, e il divenire dello stesso, dato da un intelligente e particolare missaggio.
Lo stile chitarristico della Larkin è quanto mai moderno e innovativo e può essere riassunto in quello che lei ha affermato alla rivista “Guitar World”: “Io voglio che la mia chitarra. trasmetta l’energia di una rock-band”, ed in effetti ascoltando le sue canzoni sentiamo una sei code potente e percussiva, ma capace anche di alternare momenti tersi e di alto lirismo. Colori celtici e melodie folk si mescolano e si intersecano in un modo di suonare che travalica le tecniche canoniche e lascia libero spazio alla inventiva e alla esplorazione ritmica. Riuscendo a costruire un tappeto sonoro così vario e così poco rispettoso delle strutture armoniche, la Larkin riesce a modulare e a spaziare la sua voce in linee di ampio respiro che ricordano nello stesso tempo certi canti a cappella e certe atmosfere jazz.
L’album è un continuo alternarsi di brani irruenti e brillanti ad altri pacati e intimisti, un po’ Dottor Jekyll e Mr Hyde : basta acoltare i primi due pezzi; ad un irruente e focoso “Wolf At The Door” tutto giocato sullo strumming della chitarra si contrappone il delizioso “Banish Misfortune/Open Hand” (nell’arrangiamento di Richard Thompson) dove la chitarra solo si illumina di melodia. Ma andiamo avanti troviamo “Dear Diary” dove l’accordatura aperta si muove in riff tortuosi e subito dopo la sussurrata e aperta “I Told That My Dog Wouldn’t Run” ci apre il respiro per la toccante e densa esecuzione ma la successiva “Booth Of Glass” ci porta in Europa con il delicato e accorato inciso e continuiamo a cullarci ……..
Roberto Menabò
Lascia un commento